di e con Davide Enia
musiche Giulio Barocchieri
luci Paolo Casati
suono Francesco Vitaliti
co-produzione CSS Teatro stabile di innovazione del Friuli Venezia Giulia, Piccolo Teatro di Milano - Teatro d’Europa, Accademia Perduta Romagna Teatri, Spoleto Festival dei Due Mondi
Spoleto – Festival dei Due Mondi 30 giugno 2024
Ci possiamo sentire vicini a un fenomeno dal quale, moralmente, siamo distanti? Detta così, sembra una contraddizione in termini. In realtà può non esserlo. L’uomo, diceva Sartre, è un essere nel mondo e in situazione. Sempre, in ogni circostanza della sua vita. Che moralmente non si condividano azioni od eventi che si ritengono riprovevoli, è doveroso. Ma che questo significhi non farne parte, seppure su un versante opposto, è un errore crederlo e pensarlo. La biografia di ognuno di noi si intreccia, per vie traverse e quasi mai dirette, con gli avvenimenti che la storia ci mette davanti. Lì per lì è impossibile rendersene conto, tutto sembra consueto. Per un giovane adolescente di nome Davide Enia, oggi celebrato interprete delle scene italiane e noto scrittore, è stato normale avere come compagno di giochi il figlio del giudice Paolo Borsellino; è stato normale avere quale professore di religione a scuola un sacerdote di nome Pino Puglisi. Meno normale in sé, ma non rispetto alla quotidianità dell’ambiente di quegli anni vissuti dal giovane Enia, è stato vedere morti per mano della mafia queste persone, e non solo loro. E dunque: come ci si può sentire estranei a un fenomeno, Cosa Nostra, che ha toccato le vite di tutti i siciliani, i palermitani in particolare? Se ne vogliamo parlare storicamente, anche per liberarsi di un certo modo di sentire o di agire che, del tutto inconsapevolmente, si può adottare, è bene farlo mettendosi direttamente in gioco. Cercando di capire, cioè, che cosa ci può essere di mafioso in noi. Raccontare della mafia come uomo nel mondo e in situazione, dunque, non adottando una visione estranea e distante come se si osservasse un grave incidente dal terrazzo di un balcone: questo ciò che si è proposto di fare Davide Enia col suo Autoritratto. Uno spettacolo che ha un avvio paradossale, per poi rivelare uno sguardo e una conoscenza lucidi, giustamente severi, molto razionali. Enia analizza il fenomeno mafia come prodotto di una mentalità diffusa, che origina dal detto siciliano: la parola migliore è quella che non si dice. Proverbio che, di bocca in bocca, a tutti i siciliani appartiene. Ecco perché Enia non vuole porsi al di fuori, ma dentro tali vicende. Non solo in quanto testimone diretto che ha incrociato le vite di Puglisi, di Borsellino attraverso il figlio, e del piccolo Di Matteo come evento coetaneo; ma per lanciare un atto di sfida ai suoi conterranei attraverso se stesso che si può riassumere così: vogliamo estirpare la mafia dalla Sicilia? Allora iniziamo a farlo col sentirci noi, per primi, partecipi di questo fenomeno: anche se le nostre mani non sono sporche di sangue: anche se non abbiamo taciuto: proprio perché non siamo mafiosi. Ignorare tutto questo non si può. Da tali premesse, interessanti, è emerso uno spettacolo molto retorico, forse per la troppa vicinanza di Enia coi fatti raccontati, che tuttavia si è dimostrato un bravo narratore scenico, con bei ritmi interpretativi ed una misurata gestualità. Pierluigi Pietricola