Un viaggio che comincia dal Portogallo, tra fado e poesia, per poi attraversare Capo Verde, Angola e Messico
uno spettacolo di Pippo Delbono
con Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Margherita Clemente, Pippo Delbono, Ilaria Distante, Aline Frazão, Mario Intruglio, Pedro Jóia, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Miguel Ramos, Pepe Robledo, Grazia Spinella
musiche originali di Pedro Jóia e di autori vari
collaboratori artistici Joana Villaverde (scene), Elena Giampaoli (costumi), Orlando Bolognesi (luci), Tiago Bartolomeu Costa (consulenza letteraria)
suono Pietro Tirella
Parigi, Théâtre du Rond Point 18 settembre 2022
Prima del buio. Lui entra, non sul palco, in platea. Lentamente. Sale i gradini, vestito di bianco, scambi di sguardi, un sorriso e si siede.
La scena: parerti rosse, un albero secco piantato tra pietre e poi la luce illumina la voce, il canto di questa donna bellissima che appare come tra le serrande abbassate di una finestra.
Un montaggio emotivo che sale e penetra le pareti del cuore, si incide. Il graffiante calore della voce di Pippo del Bono che ci restituisce la parola poetica. Parte dalla platea. sembra essere proiezione del nostro sentire che emerge intonando poesie di Prévert, Rilke, Espanca, Andrade..
L’amore. L’amore che è assenza, mancanza, nostalgia, solitudine... l’amore che si fa vento, isteria, gelosia, passione.. è movimento, frenetico ripetuto ritualizzato. E’ musica, è poesia, è immagine, è luce e ombre. E’ viaggio, dal Portogallo, in Angola, e poi il Messico.
L’amore. Il ricordo, la perdita, il lutto. Ma anche il rifiorire, come dell’albero secco che si veste di boccioli, o l’eruttare di un vulcano creduto sopito. Ogni sfumatura d’amore che prende corpo sul palco crea dissolvenze incrociate di quadri potenti, in cui il fado fa da fil rouge.
Pippo del Bono canta l’amore, il bisogno d’amore, la mancanza d’amore. Quello che ci fa vibrare è la forza della parola, la poeticità di ogni frammento, di ogni immagine che si staglia davanti a noi.. L’uomo che abbraccia un sacco di sabbia forato e più lo stringe a sé e più il sacco si svuota. Una donna che aspetta seduta seminuda di essere coperta di gioielli per poi però restare da sola.. un uomo infuriato che straccia i fogli incisi di promesse mancate.. la maschera bianca che annulla e confonde l’identità di chi nell’amore si perde. E la perdita infine. La morte di chi si ama. E il dolore di chi resta. Dolore che diventa creazione.
Questo spettacolo nasce da un lutto, questo ci viene rivelato. E quello che stiamo vivendo è il bisogno di trasformare il dolore. Condividerlo e renderlo rito, spettacolo. Perché come nelle ultime battute prima della fine, c’è un luogo, un tempo in cui i morti e i vivi sono nello stesso momento, presenti e uniti. Come il teatro in cui sentiamo, L’amore.
D.G.