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ASSASSINIO NELLA CATTEDRALE - regia Guglielmo Ferro

"Assassinio nella cattedrale", regia Guglielmo Ferro. Foto Roberto De Biasio "Assassinio nella cattedrale", regia Guglielmo Ferro. Foto Roberto De Biasio

di Thomas S. ELiot
con Moni Ovadia, Marianella Bargilli
e con Agostino Zumbo, Alice Ferlito, Viola Lucio, Rosario Minardi, Pietro Barbaro,
Giampaolo Romania, Giovanni Arezzo, Plinio Milazzo, Giuseppe Parisi
musiche Massimiliano Pace
scene Salvo Manciagli
costumi Sartoria Pipi
regia Guglielmo Ferro
Produzione ABC produzioni in collaborazione con Teatro Quirino di Roma,
75° Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico
Vicenza, Teatro Olimpico, 22, 23, 24 settembre 2022 – prima nazionale

www.Sipario.it, 25 settembre 2022

E’ una contrapposizione struggente e dotata di alta poesia, quella di Tommaso Becket, coerente servitore del proprio pensiero, fino a pagarne le estreme conseguenze. “Assassinio nella cattedrale”, testo di Thomas Stearns Eliot mai rappresentato al Teatro Olimpico del Palladio, a Vicenza, ha aperto la 75.ma edizione del Ciclo dei Classici che si focalizza sull’uomo eroe, sui suoi esercizi di pensiero rapportandosi alle figure mitiche, agli Dei. Da cancelliere fidato di Re Enrico II ad Arcivescovo di Canterbury, Becket non esita a scegliere una direzione precisa, lucida, quella di seguire Dio fieramente e ciò fa scricchiolare il rapporto che fino a quel momento ha avuto col sovrano e il sistema di Stato. In una scena fortemente spoglia dove cinque piccoli cubi rappresentano le pause, i nobili sedili di chiesa e regno, Becket si muove pacato e agile, controllato dalle tenue luci che illuminano le statue dello spazio scenico dell’Olimpico, che vigilano su personaggi, attori, e dolori. Il destino ha una parte preponderante nella tragedia, che con l’abilità di Eliot diventa un po’ dramma elisabettiano un po’ tragedia a volte addirittura ironico, anche se si vive un vero dramma. L’Arcivescovo è ascetico e misurato, si fa amare dai suoi seguaci ma mina di fatto il rapporto con il potere non religioso, ovvero quello del Re e dei suoi sudditi, che in lui vedono una svolta inaspettata, una direzione non appropriata. Il linguaggio di Eliot è sopraffino nella sua poesia, e lascia una scia di grande verità narrata, corredata di aspetti di drammaturgia importante che il regista Guglielmo Ferro in questo allestimento curato da ABC produzioni con Teatro Quirino di Roma accoglie e scioglie nei nodi, pur non puntando su qualcosa di eclatante, sconquassante, probabilmente conscio che basta il testo nella sua potenza a far scuotere anime. “La fine sarà data da Dio” declama Becket, che sente in qualche modo il proprio destino ma non fa nulla per sottrarsi ad esso, anzi va ad incarnare nell’essenza la sua grande convinzione, quella di accostarsi nel suo ruolo alla Chiesa, al Papa, difendendone valori e virtù. E’ un ribaltamento che gli costa la vita, si sa. Uomo avvisato dai tre tentatori più uno, tutti in nero e in abiti civili e moderni, Tommaso non ascolta che il suo cuore che gli impone di continuare il proprio cammino a qualsiasi costo, non cedendo mai a compromessi. Accerchiato più volte dai tentatori, ma anche dai suoi seguaci che lo supplicano di salvarsi e di fuggire, Becket tira innanzi, appunto, e protagonista diventa la parola di Eliot che narra di guerra, tradimento, odio, disprezzo. Come fossimo di fronte a uno specchio per la nostra civiltà di oggi, che infatti, dopo il momento della suggestionante omelia dell’Arcivescovo, nel finale, si incunea nei binari di una fine già scritta. L’uccisione di Becket avviene in solitudine, da parte di tre figure simboliche che si dichiarano colpevoli, ma non da soli. Cosa che vien fatta a luci accese del teatro, in una sorta di arringhe accusatorie di autoconfessione che per le colpe vuole però tutti implicati, non solo i giustizieri. Moni Ovadia è un ostinato Becket e ci mette la sua presenza, Marianella Bargilli è una delicata corifea e un risoluto quarto tentatore, due ruoli di passione e partecipazione dove si fa davvero molto apprezzare, in bilico tra virtus magnificus, charme e malìa devota. Bene gli altri, soprattutto Agostino Zumbo, Giovanni Arezzo e Rosario Minardi, i tre tentatori. Calorosi gli applausi del pubblico.

Francesco Bettin

Ultima modifica il Mercoledì, 05 Ottobre 2022 21:57

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