di Pippo Delbono
con Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Margherita Clemente, Pippo Delbono,
Ilaria Distante, Aline Frazão, Mario Intruglio, Pedro Jóia, Nelson Lariccia,
Gianni Parenti, Miguel Ramos, Pepe Robledo, Grazia Spinella
musiche originali di Pedro Jóia e di autori vari
scene Joana Villaverde
costumi Elena Giampaoli
luci Orlando Bolognesi
consulenza letteraria Tiago Bartolomeu Costa
suono Pietro Tirella
capo macchinista Enrico Zucchelli
Fonderie Limone, Torino 4 marzo 2023
Difficile cogliere, negli spettacoli di Pippo Delbono, il confine tra vita e teatro, tra verità e finzione. Non è biografia teatrale, né teatro-documentario, ma è vita che si fa materia teatrale e, ancor prima, teatro che nasce come urgenza vitale. In scena, l’umanità, nella sua diversità e ricchezza, vuoi per lo straordinario talento di alcuni artisti, che si sono uniti alla Compagnia, vuoi per la generosità e l’incontro intenso, a volte feroce, con la vita dei membri storici.
Con AMORE si conclude la stagione del Teatro Stabile di Torino alle Fonderie Limone. Comincerei dalla fine, da quei lunghi, quasi interminabili, minuti di applausi, non scroscianti, ma scanditi, lenti e pesanti, come se ci fosse bisogno di un tempo per ritrovarsi, rimettere insieme i pezzi, assorbire le emozioni e abbracciare l’intera Compagnia prima di congedarsi.
AMORE non è una storia che si può raccontare, semplicemente perché non è un racconto, ma una poesia, un alternarsi di immagini ed emozioni. Pippo Delbono, vestito di bianco, entra in sala prima che lo spettacolo inizi, si sistema in un angolo al fondo della sala, e lì resta. Dietro la schiena degli spettatori, la sua voce calda e fragile accarezza e commuove. Molte parole sono prese a prestito da poeti e poetesse (Carlos Drummond De Andrade, Eugenio De Andrade, Daniel Damásio Ascensão Filipe, Sophia de Mello Breyner Andresen, Jacques Prévert, Reiner Maria Rilke e Florbela Espanca). I loro versi si mescolano ad alcune intime confessioni di smarrimento, dolori recenti e passati rievocati da Pippo Delbono e dall’angolana Aline Frazão, il cui canto profondo incanta dal primo quadro. Il fado portoghese non accompagna i tableaux vivants che si compongono in scena, ma ne integra e prolunga la carica emotiva (musica senza parole, parole senza musica, musica con parole, silenzio).
Lo spazio scenico è vuoto, fatta eccezione per un albero secco, ferito dal vento, che offre l’occasione per un richiamo a una nota scena del film “Sacrificio” di Andrej Tarkovskij; nero, rosso e bianco, i colori dello spettacolo; tagli di luce, magistralmente orchestrati, si alternano al buio pieno, in cui viene sprofondato lo stesso pubblico.
Danze isteriche, danze di vivi e morti, parate, abbracci; tenerezza, crudeltà, ossessione, mancanza. Tutto ruota in questo spettacolo, così come nella vita, attorno ad AMORE, forza disgregatrice e vitale, potentemente desiderata e temuta, ma un pesante velo di nostalgia lo attraversa dall’inizio alla fine.
“Avrei voluto fare uno spettacolo sull’amore”, dice Pippo Delbono. Poi la pandemia, l’isolamento a Catania e un lutto improvviso.
La morte, la morte di chi si ama è il pieno che diventa vuoto. Si percepisce la fine.
Ma se, invece, vivi e morti potessero davvero di tanto in tanto continuare a danzare insieme? E il desiderio di amore, di amare, riaccendersi d’un tratto come l’Etna? E un albero secco ricoprirsi di nuove gemme?
Francesca Maria Rizzotti