di Molière, traduzione di Cesare Garboli
regia di Arturo Cirillo
con Arturo Cirillo, Michelangelo Dalisi, Monica Pisedu, Luciano Saltarelli, Antonella Romano, Salvatore Caruso, Sabrina Scuccimarra, Vincenzo Nemolato, Rosario Giglio
scene di Dario Gessati, costumi di Gianluca Falaschi, disegno luci di Badar Farok, musiche di Francesco De Melis
produzione Teatro Stabile Napoli e Teatro Stabile delle Marche
visto a Cremona, al Teatro Ponchielli, 20 marzo 2012
Eccolo lì curvo sul suo bastone, filiforme e con i capelli bianchi che gli coprono il volto, volto destinato a scomparire in quella cassetta/feticcio piena di denari che alla fine gli fa da velario, ma è anche bacio inguinale, immersione nel ventre materno e femmineo di quel vecchio che a sé piega i figli Cleante (Michelangelo Dalisi) ed Elisa (Monica Piseddu), che vuole per sé la gioventù, che pretende di comprarsi l'antidoto alla morte, costringendo gli altri a sacrificargli vita, passione, amori e sogni. Questo è Arpagone, un giacomettiano Arturo Cirillo che incide lo spazio scenico, tiene insieme quelle quattro cornici concentriche che degradano verso un fondo nero, segni inventati da Dario Gessati che risucchiano tutto e tutti, mentre i costumi sfumati e senza tempo di Gianluca Falaschi raccontano di un'inafferrabile trascolorare, lo trascolarare di questo Avaro di Molière contemporaneo e classico al tempo stesso, uno spettacolo elegante e cupo che fa emergere il lato nero e inquietante del drammaturgo francese. L'Arpagone di Cirillo è crudele regista, è impietoso nel condizionare la vita di chi abita con lui: dai figli ai servi, tutti succubi della sua spilorceria, tutti dipendenti da lui come Arpagone è a sua volta schiavo di quel denaro che non sa se sia giusto tenere in casa o investire, padre di quella cassetta che nel disperato tentativo di ritornarne in possesso confonde con la figlia. Arturo Cirillo/Arpagone è dentro e fuori la struttura scenica, gestisce l'azione e la agisce al tempo stesso, è ingranaggio di quel carillon della crudeltà a cui tutto è sacrificato, la dignità di padre, l'amore per i figli e in cui la soluzione della vicenda è affidata ad una pantomima, a una muta sceneggiata o operina sullo sfondo di una Napoli delle agnizioni e della favola, le stesse favole raccontate dal cuoco e cocchiere Mastro Giacomo. Arturo Cirillo sembra dichiarare che nel suo Molière ciò che conta non è la storia — destinata ad un lieto fine di maniera — ma è il pensiero, e alla fine è il presentarsi in scena di tutti i protagonisti, che guardano dalla cornice scenica e osservano orfani il loro tiranno disteso a terra, tornato in possesso della sua cassetta in cui si figura di entrare, a cui chiede di essere risucchiato in una simbiosi assoluta col denaro, col suo unico amore di padre. In tutto ciò Arturo Cirillo è sovrano assoluto, perno di senso e di presenza cui girano attorno i suoi attori, oltre a Piseddu e Dalisi, Luciano Saltarelli, Antonella Romano, Salvatore Caruso, Sabrina Scuccimarra, Vincenzo Nemolato e Rosario Giglio, proprio come in un carillon che si accompagna alle musiche dissonanti di Francesco De Melis e alle luci di Badar Farok. Il Ponchielli gremito applaude con calore meritato alla compagnia e a un Arturo Cirillo in grande forma, che gode non poco nei panni di Arpagone, un avaro alla Scrooge.
Nicola Arrigoni