di Alan Bennett
traduzione di Mariagrazia Gini
interpretazione e regia Arturo Cirillo
scena Dario Gessati
produzione MARCHE TEATRO
in collaborazione con la Festival Trend – nuove frontiere della scena britannica
in accordo con Arcadia & Ricono Srl per gentile concessione di United Agents LLP
al Piccolo del Bellini di Napoli fino al 14 maggio
«È l'unica parte della mia vita che mi sembra giusta... ed è quella sbagliata»: questa battuta chiude Il Gioco del panino di Alan Bennett nella regia ed interpretazione di Arturo Cirillo in scena al Piccolo bellini di Napoli.
Comincio dicendo che Arturo Cirillo è un gigante, un attore capace di restituire allo spettatore con maestria ogni personaggio che va ad interpretare; sembra un’ovvietà perché dovrebbe essere quello che fanno tutti gli attori ma avere il privilegio di vederlo sulla scena ti permette di osservare un uomo capace di spogliarsi completamente per abbracciare il suo personaggio. Lo studio e la dedizione al suo personaggio è totale ed è un vero dono per chi lo guarda. Al termine di questo lavoro, durante i saluti finali, mantiene ancora la profonda umanità del suo personaggio. Una prova attoriale molto complessa quella a cui Wilfred Paterson costringe perché in una storia ordinaria dove nulla lascia presagire il peggio, all’improvviso la realtà si squarcia, facendo affiorare una realtà ingovernabile, sordida, agghiacciante. Bennett è uno degli autori più amati d’Inghilterra e forse lo è perché invece di giudicare comportamenti agghiaccianti li racconta dal punto di vista ‘semplicemente’ umano.
Bennett non giudica, non condanna, non assolve, non risolve ma semplicemente osserva questi suoi fragili e vibranti personaggi come si osserverebbero le cose della natura, con le sue leggi e le sue eccezioni, le sue regole e le sue devianze.
Wilfred ha una moglie, un lavoro come addetto alle pulizie in un parco pubblico, ma è un uomo solo, decadente, cerca un conforto nella ripetitività della sua vita. Non si capisce bene, all’inizio perché venga scacciato anche dai suoi familiari. Sembra un lavoratore, un uomo onesto, ma qualcosa in lui non va.
In scena un tabellone colorato ed un altalena, ed il carrello degli attrezzi di Wilfred. Cirillo si cambia di abiti più volte durate lo spettacole lo fa in scena davanti gli spettatori. Anche in questi abiti tutto è decadente. Nella routine sul lavoro ha anche un amico, un suo collega ed il suo datore di lavoro vuole aiutarlo a cercare il suo stato di lavoro, che inspiegabilmente, non si trova,
Il tempo scorre in una monotonia sconvolgente o meglio in una routine piatta alla quale sembra che Wilfred sia abituato, non sembra cercare altro.
Poi l’incontro al parco con Samantha, una bimba povera con la madre Debbie che trascorrono molto tempo al parco. La bimba si affeziona tanto all’uomo, si avvicina a lui senza paura con l’allegria e l’innocenza tipica dei bambini. Chissà come appare agli occhi di un pedofilo la semplicità e l’ingenuità di un bimbo, viene spesso scambiata per scaltrezza, per un invito a farsi avanti.
Cirillo è un grande interprete, comprende appieno Wilfred e lo restituisce senza criticarlo senza dare nemmeno un‘ombra di giudizio. Così come il suo autore, Cirillo mostra al pubblico come può essere un pedofilo. Una situazione come quella raccontata accade fin troppo spesso ma quante persone si fermano a guardare i fatti senza giudicare? Credo nessuno.
Volutamente il fatto si scopre alla fine proprio per permettere al lettore e allo spettatore di guardare senza giudicare.
Essenziale ma elegante la regia dello stesso Cirillo che gli permette di muoversi bene al suo interno. Wilfred è un pover’uomo ma Cirillo nel renderlo è un gigante. La sua voce accompagna lo spettatore e rende appieno, con infinite e sottili sfumature, l’anima di quest’uomo. Le sue espressioni sono magnetiche e dimesse ad un tempo. Nella monotonia di certi momenti si legge il senso della sua vita
L’unico giudizio che è giusto dare è omaggiare Cirillo per la sua straordinaria prova.
Roberta D’Agostino