di H. De Balzac
regia Antonio Calenda
Scene Pierpaolo Bisleri, Musiche Germano Mazzocchetti
con G. Gleijeses, M. Bargilli, P. Pavese, O. Ruggieri
Teatro di Messina, dal 4 al 8 gennaio 2012
MESSINA (gi.gi.).- L'affarista Mercadet (1840) di Honoré de Balzac appare un personaggio vivo e reale, uno che puoi incontrare in banca o in tante agenzie finanziarie, ma la commedia nel suo insieme pare abbia fatto il suo tempo. E' come se al regista Antonio Calenda interessi poco a dargli delle coloriture di attualità. Solo quella sfilza di armadi di varie misure di Pier Paolo Bisleri, che riempiono una scena, quasi ronconiana, ci riportano ad una certa contemporaneità. Per il resto i personaggi, alcuni grotteschi con nasi posticci, sono agghindati con tight e cilindri ottocenteschi, con lungo abito nero merlettato pre-impressionista quello di madame Mercadet di Paila Pavese, mentre la figlia Julie di Marianella Bargilli indossa un vestitino bordeaux senza pretese. Comparirà ad un tratto sullo sfondo non una rossa Ferrari ma la sagoma d'una carrozza, come se non ci si volesse smuovere da quei tempi d'antan. Ma ciò che fa fare le fusa allo spettacolo sono quei lunghi dialoghi tra i due pretendenti la mano di Julie, rispettivamente l'Adolphe Minard di Alfonso Veneroso e il Michonnin de la Brive di Jacopo Venturiero, che andrebbero sfoltiti. Certamente Geppy Gleijses nei panni di Mercadet si fa in quattro per rendere desta l'attenzione del pubblico, a volte andando pure in falsetto, anche perché il suo filosofeggiare attorno al matrimonio, ai quattrini, alla Borsa e in generale all'equivoco mondo degli speculatori, trova consensi e adepti tra il pubblico e ha molto a che vedere con ciò che stiamo vivendo in questi oscuri anni di economia e finanza, in cui abbiamo conosciuto i tanti furbetti dei quartierino e sappiamo quasi tutto sugli spread e sul rendimento dei Buoni del Tesoro a dieci anni. Questo spettacolo a metà tra farsa e vaudeville, ha il pregio d'averci fatto conoscere un progenitore del Godot beckettiano, che in questo lavoro di Balzac si chiama Godeau (si pronunzia allo stesso modo ma si scrive in modo differente), che è una sorta di fil rouge, perché evocato più volte non comparirà mai, né all'inizio quando socio di Mercadet scapperà col malloppo nelle Indie, né alla fine quando saldando i conti dei tanti creditori, quest'ultimi elogiando le qualità di Mercadet crederanno di vedere Godeau in quella figura che, per disegno registico, la figlia riconoscerà essere suo padre Mercadet. Come dire che l'affarista avrà sempre un'aura truffaldina. Non sono mancati gli applausi finali al Vittorio Emanuele dove lo spettacolo resterà in scena sino a domenica pomeriggio.
Gigi Giacobbe