di Eduardo De Filippo
regia Luca De Filippo
con Nicola Di Pinto, Anna Fiorelli, Fulvia Carotenuto, Carolina Rosi, Massimo De Matteo, Gioia Miale, Giuseppe Rispoli, Antonio D'Avino, Chiara De Crescenzo, Alessandra D'Ambrosio, Carmen Annibale
scene Gianmaurizio Fercioni, costumi Silvia Polidori, luci Stefano Stacchini
Roma, Teatro Quirino dal 18-24 novembre, 1 e 4 dicembre 2010
Teatro Quirino, Vittorio Gassman di Roma dal 26 dicembre al 8 gennaio 2012 (in tournée)
Scritta da Eduardo nell'immediato dopoguerra, "Le bugie con le gambe lunghe" appartiene alla raccolta "Cantata dei giorni dispari" , quelle dove tutto va storto, che amareggiano e suscitano contrarietà, specie in ambito familiare -che è epicentro sussultorio della sua migliore ispirazione- in cui "si fa diagramma" uno fra i chiodi fissi della drammaturgia eduardiana (ancora una volta debitrice di Pirandello). Che è l'ansia di verità contrapposta al "rimedio" della menzogna. Quando l'amaro miele della vacuità umana scorre e si fonde con quello (tutto in sottofondo) di una comicità che, nel primo tempo, lambisce i tratti del farsesco per poi attenuarsi e strutturarsi in racconto morale, con il procedere quasi convulsivo degli accadimenti.
In divertente progressione di invasivi equivoci e scorribanda di controscene, la vicenda si snoda sui multiformi intrighi che alcune coppie intrecciano intorno a Libero Incoronato, uomo modesto, dignitoso e fiero della propria onestà, la cui metodica esistenza (con sorella a carico) viene sconvolta dai vicini che tentano in ogni modo di coinvolgerlo, suo malgrado, nelle loro squallide beghe da casermaggio. Conferendogli, a noi pare, quell'assillato ruolo di giurì d'onore che annuncia, in mi settima, il personaggio, ben più complesso (e cruento) del "Sindaco di Rione Sanità".
"Le bugie con le gambe lunghe – annotava Eduardo - sono quelle che tutti noi dobbiamo aiutare a camminare per non far cadere l'impalcatura della società".
Ed infatti, nel suo tono di accomodamento pessimista ai paradigmi del "quieto vivere" (in farisaica ipocrisia o maschera di giornata) già ribollivano i sintomi dell'insofferenza, del riscatto individuale (la "corda pazza" che incita il "giorno da leone" contro "i cento anni da pecora") che danno senso e riscatto alla mortificazione degli estorti compromessi. Un esempio? Libero Incoronato è costretto a reprimere quel malcelato, indarno sentimento amoroso che dovrebbe trovare appagamento nell'unione, non clandestina, con la donna di cui è invaghito; ma che, essendo un' ex-prostituta, porterebbe "disonore" al retrivo parentado- e miccia alle maldicenze dei petulanti condomini. Salvo aggirare ogni ostacolo azzerando gli avversari tramite il ricorso alle le loro stesse armi: che sono quelle dell'impostura gradita, persino anelata, in ossequio alla simulazione e all'ascesa sociale, che tutto depura e nobilita.
Unico ed efficace stratagemma (contro chi non merita altro che menzogne) sarà "far passare" l'amata Graziella quale ricca ed ambìta ereditiera verso cui tutti si inchineranno per vile, ossequioso opportunismo.
L'attento studio degli spazi, dei costumi, dell'affabulazione narrativa conferiscono alla messinscena una verace ma non abusata essenza di naturalismo partenopeo che sembra dare verosimiglianza, compiutezza, potenza espressiva ad un' "arte della commedia" che, in questo caso, ha l'esplicita ambizione dell'apologo esistenziale (con afflato umanitario), esposto ai dardi dell'ottusità e della "rispettabilità" piccolo-borghese. Siamo quindi- e contrariamente alle nostre predilezioni- dinanzi ad una coralità di strepitio e mugugni dialettali che offrono sapore e colore ad una ennesima vicenda di sorgivo disagio (misantropia malcelata) di cui Eduardo è laconico alfiere. Nella sua essenza di autore e personaggio scorbutico, anarchico, di scarse parole.
Nella ricerca del "dettaglio" di espressioni, primi piani, oggetti domestici (che hanno quasi meticolosità cinematografica) lo spettacolo di Luca De Filippo lambisce una sorta di perfezione e perfezionismo minimale, capillare, devoto alla memoria (e al "dettato") del padre, come all'interno di un meccanismo ad orologeria che sa rendersi "indispensabile" senza eccedere in pedanteria.
Un piccolo miracolo teatralità divulgativa, evocativa che nulla concede alla nostalgia celebrativa.
Angelo Pizzuto
È una commedia del ciclo inaugurato da Eduardo subito dopo la guerra: scritta nel 1946, fu per qualche tempo accantonata a causa del successo ottenuto con "Filumena Marturano".
Le bugie con le gambe lunghe sono quelle alle quali gli adulti ricorrono, trasformando poco a poco la bugia iniziale in verità assoluta per meglio apparire nella società civile.
Vediamo così Libero Incoronato (Luca De Filippo), che vive modestamente con la sorella Costanza (Fulvia Carotenuto) in un condominio di periferia a Napoli, ed è tenuto in grande considerazione dai coinquilini che a lui si rivolgono per dirimere – ad esempio – beghe coniugali o lo ritengono appetibile come decoroso marito da qualche signora facoltosa.
La prima a ricorrere ai suoi buoni uffici è una giovane moglie abbandonata dal marito, che lo incarica di perorare la sua causa presso tal Benedetto Cigolella, al fine di ottenere una cospicua somma di denaro e l'intestazione della casa di Napoli... E Libero Incoronato riesce con facilità a raggiungere tali obiettivi a favore dell'avvenente Olga Cigolella (Carolina Rosi), sostenuta validamente dalla madre con impetuosa oratoria – che Anna Fiorelli impersona con veemenza, ottenendo vasto consenso presso la parte femminile della platea del Quirino!
Il detto Cigolella – un napoletano che ha fatto fortuna a Livorno – dove è proprietario di ben due cinema, e che per allietare le sue serate è sul punto di avere un figlio dalla giovane domestica.
Anche la sorella di Incoronato/De Filippo nel frattempo si è procurata uno straccio di fidanzato: ed il finale che appare in prospettiva è quello di alcuni matrimoni e relativi battesimi.
Infatti il ricco Cigolella di Livorno convince un suo dipendente a sposare la domestica ed assumere di conseguenza la paternità del nascituro: in cambio sarà promosso da "maschera" a direttore di cinema, davvero un bel salto di qualità nella scala sociale.
Questa soluzione permette, a sua volta, all'intraprendente capitalista napoletano di ricongiungersi alla moglie anch'essa - guardacaso - in attesa di un figlio... E sulla paternità di questo secondo nascituro tutto fa ritenere che Libero Incoronato non sia del tutto estraneo alla vicenda.
In finale il palcoscenico è colmo di coppie con pargolo: i ricchi Cigolella ostentano addirittura una prosperosa balia; il neodirettore di cinema passa a salutare il festeggiato proprietario, dichiarandosi enfaticamente padre del neonato.
Insomma, messi a tacere gli scrupoli di coscienza, imprenditore e umile lavoratore rientrano nell'ordine del perbenismo borghese, sistemandosi all'insegna della più smaccata ipocrisia... Va pur detto che il successo del Cigolella in una lontana città, appare tutto sommato come una nota positiva nell'ambito del tono decisamente amaro della commedia.
Ed anche Libero Incoronato si adegua e acconsente a prendere in moglie la ricca "signorina" dal dubbio passato, alla quale regala una posticcia etichetta di nobiltà.
Ottima la regia di Luca De Filippo, che tuttavia riesce ad ottenere contenuti applausi.
Scenografia adeguata di Gianmaurizio Fercioni e costumi di Silvia Polidori.
Fernando Bevilacqua