commedia in due atti di Vincenzo Salemme
regia: Vincenzo Salemme
con Vincenzo Salemme, Antonella Elia, Massimiliano Gallo e Domenico Aria, Roberta Formilli, Antonio Guerriero, Biancamaria Lelli, Marcello Romolo
Milano, Teatro Manzoni, dal 6 febbraio al 4 marzo 2007
Un Pulcinella dei nostri giorni, quindi un Pulcinella nevrotico: questo è Vincenzo Salemme. L'attore-autore-regista napoletano conferma la sua peculiarità anche nella commedia "Bello di papà”, che, come sempre gli accade, fa partire da un paradosso per poi raccontare in maniera irreale storie comunque incardinate nella realtà. Una recensione a uno spettacolo di Salemme è qualcosa che va maneggiata con estrema attenzione. Perchè? Perchè c'è sempre la tentazione di liquidare con superficialità il modo “facile” con cui l'artista induce gli spettatori a ridere, ricorrendo a effetti ed effettacci di antichissimo conio. Credo, però, che così facendo, si rischi di fare davanti ai posteri la figura che oggi fanno davanti a noi i “cattivi” critici che furono con temporanei di Totò. Probabilmente Salemme non può gareggiare con l'inarrivabile comicità di Totò, ma certo il suo è un caso teatrale, fatto di platee esaurite e successi a ripetizione, che deve far pensare. Nelle sue messinscene Salemme mischia di tutto: commedia dell'arte, farsa, pochade, teatro dell'assurdo, ritmo forsennato, paradossi e moralismi alla Eduardo e macchiette alla Peppino (De Filippo, ovviamente) insieme con tic, vezzi, paure e nevrosi di oggi. E mantiene sempre un senso dell'integrazione dei vari elementi, superando il più banale eclettismo che si limita a raccattare di qua e di là. Quindi, anche se le sue commedie non sono sicuramente capolavori, Salemme diverte, fa ridere e insinua perfino qualche pensiero serio, come accade con "Bello di papà” ,in cui Antonio,un dentista un po' "peter pan", che non vuole sposare la fidanzata "dodicennale" e men che meno desidera avere figli, si trova a far da padre a Emilio, un amico quarantenne in crisi depressiva. L'idea strampalata è di uno psicoanalista che con l'ipnosi fa regredire Emilio all'infanzia, perchè la possa rivivere, a tappe accelerate, con un padre accanto, in grado di farlo guarire dai suoi conflitti esistenziali. Alla fine si scoprirà che le cose non stanno proprio come sembrano, ma nel frattempo Antonio ha modo di scoprire tante cose: dall'attaccamento al denaro dei suoi parenti alla propria capacità di non essere sempre vigliacco e magari di prendersi qualche responsabilità. Lavorando sul testo di Salemme autore, Salemme regista costringe Salemme attore e gli altri interpreti a un ritmo forsennato in un circuito nevrotico-comico che toglie il respiro. E smonta pezzo pezzo il personaggio Antonio nel linguaggio e nei movimenti, facendone uno specchio ingrandito e preoccupante dei nostri tic. Nel numeroso e brillante cast ci sono anche, fra gli altri, Massimiliano Gallo (Emilio), Antonella Elia (la fidanzata) e Marcello Romolo (lo psicoanalista). E, alla fine, lunghi e meritati applausi.
Vincenzo Bonaventura
"Bello di papà", tre ore di gag al Manzoni. Protagonista in gran forma, il cast tiene il ritmo Per circa tre ore di fila, si ride a crepapelle, senza sosta, quasi senza fiato. Perché è impossibile trattenersi di fronte alla messe di invenzioni comiche, situazioni esilaranti, irresistibii battute che affollano la survoltata rappresentazione di «Bello di papà», l'ultima commedia di Vincenzo Salemme. Un testo con una vena agrodolce che, nel rispetto dello stile dell'autore, mantiene la storia su un filo surreale e cinico, portando in scena un eterno Peter Pan che non si vuole assumere nessuna responsabilità. Questi è Antonio, un ricco, ma tirchio, dentista cinquantenne, classico prototipo del maschio di oggi impaurito ed eternamente in fuga dalle responsabilità. Fidanzato da anni con Marina, si sottrae al matrimonio e ad una possibile paternità, nonostante lei gli chieda continuamente di avere un figlio. Poi, un giorno, accade l'imprevedibile. Emilio, un suo carissimo amico, va in depressione e uno psicanalista sentenzia che il problema è dovuto alla mancanza di una figura paterna durante l'adolescenza. Antonio viene scelto come «genitore» e da qui scattano equivoci e scambi di ruolo… Dunque, ancora una volta Salemme travasa nel suo lavoro i propri conflitti interiori con la capacità di «rivisitare» la tipica farsa napoletana attraverso una scrittura che adotta - spesso e felicemente - il meccanismo della ripetizione e dell'iperbole, spinge alle estreme conseguenze la situazione di partenza prescelta, ricorre con eccessiva, schematica disinvoltura ad una comicità che si avvolge su se stessa lasciando ampio spazio a improvvisazioni, lungaggini e gag a volte troppo facili, accomunate con la costruzione di «macchiette», in cui prevalgono i toni e i tratti buffi impressi dai singoli interpreti. Lo stesso Vincenzo Salemme, ad esempio, mette nel protagonista la sua personalissima cifra espressiva contrassegnata da una frenetica dinamicità gestuale, un ritmo di recitazione perfetto, un'estrosa versatilità mimica derivanti dalla scuola partenopea e da certo avanspettacolo, pilastri portanti della sua creatività di attore e autore. Con Massimiliano Gallo, un godibile Emilio, ed Antonella Elia, una sciolta Marina, danno corpo allo spettacolo Marcello Romolo, lo psicanalista, Rosa Miranda e Adele Pandolfi, rispettivamente la cognata e la mamma apprensiva del protagonista, e Biancamaria Lelli, l'assistente.
Franco Cornara
L'attore e regista sul palco con Antonella Elia in una commedia che offre tante battute e più di uno spunto di riflessione Sbanca i botteghini dei teatri, scala le classifiche degli spettacoli più visti, fa impennare l'«audience» teatrale: ma perché Vincenzo Salemme piace così tanto? Per la risposta tangibile, l'indirizzo è il Manzoni di Milano, dove fino al 4 marzo è in scena “Bello di papà", con l'artista partenopeo uno e trino: autore, attore, regista. Ma intanto possiamo dire che il pubblico ama Salemme perché fa del buon teatro. Brillante ma non becero, leggero ma non vuoto, scorrevole ma non sciatto. Salemme - che ha avuto grandi maestri, Eduardo su tutti - ha annodato i fili tra il grande teatro napoletano del passato e del presente. I temi che egli propone sono contestualizzati all'oggi, ma nell'analisi dei personaggi e delle relazioni che cuce tra loro, si ravvisa una autenticità che non è limitata a un'epoca e nemmeno a un'area geografica. Così che, la napoletanità che trasuda dai suoi spettacoli, piace tanto al sud quanto al nord. Altro merito di Salemme è quello di circondarsi, normalmente, di comprimari di valore. Per questo spettacolo ha approfittato anche di Antonella Elia, rilanciata dall'isola dei famosi, e che qui, nel ruolo di Marina, fidanzata di Antonio (Salemme, appunto), ci mette tutta la diligenza che occorre. Mentre la coppia è in crisi per il desiderio di maternità inappagato di Marina - per cui Antonio non è pronto – piomba in casa dei due un improbabile psicanalista (Marcello Romolo, spassosissimo nell'aplomb richiesto dal ruolo) accompagnato da una altrettanto incredibile assistente (Biancamaria Lelli). Antonio deve prestarsi a collaborare ad una sperimentale terapia psicanalitica al fine di salvare l'amico Emilio (Massimiliano Gallo, abilissimo a dimostrare sette come quarant’anni) che, fatto regredire all'infanzia, deve tornare a crescere per superare i traumi. Suo malgrado, Antonio gli farà da padre. I motivi di comicità sono all'ordine del minuto, sostenuti da battute acute e da una mimica straordinaria, una gestualità smodata e surreale che in più punti fa pensare a Totò. Il rapporto padre-figlio, sebbene virtuale come quello tra i due protagonisti, lascia comunque il segno e, come cambia i personaggi, porta gli spettatori dal sorriso alla riflessione. Permettendo di individuare, nella famiglia, la culla di molte nevrosi che i personaggi della madre di Antonio (Adele Pandolci), del fratello (Domenico Aria, physique du ròle ineccepibile) e della cognata (Rosa Miranda, temperamento di tigre da palcoscenico) rappresentano bene. Si aggiungano ancora, in scena, Antonio Guerriero, Roberta Formilli, Franco Cortese, l'interno moderno disegnato da Alessandro Chiti e i costumi di Mariano Tufano, ed ecco, bello e ben confezionato, uno spettacolo da vedere.
Anna Ceravolo
Vincenzo Salemme è, dopo i De Filippo e Tato Russo, l'ultimo napoletano adottato con entusiasmo dai milanesi: vedi le risate e gli applausi del pubblico. E il «Bello di papà», di cui al titolo, è un quarantenne depresso, regredito allo stadio infantile che, secondo il suo psicoanalista junghiano ha bisogno di un padre. Così perlomeno crediamo fino all'ultimo, quando scopriamo che tutto è un invenzione della fidanzata di un dentista, Antonio, desiderosa di avere un figlio mentre lui è refrattario alla paternità: per cui il «Bello di papà» è un trucco per guarirlo dalla «sindrome di Peter Pan». Non è Shakespeare; è una farsa a piede libero che ripropone aggiornata con la psicoanalisi e al ritmo mozzafiato del teatro di Frayn l'immortale sceneggiata napoletana alla Scarpetta. Con divagazioni nel varietà, quando Antonio e il suo figlio «provvisorio» scendono in platea con biciclette da corsa o una canoa. Siamo al puro intrattenimento, a un'edizione partenopea della pochade francese, al «ridi che ti passa» con una cascata di gag e con spunti satirici sul vivere contemporaneo e, alla fine, la piccola moralità di una conversione alla paternità. Salemme si cuce addosso la sua commedia con improvvisazioni e «drammatizzando» comicamente la sua reticenza a essere padre. E ha valide «spalle» in Marcello Romolo, lunare, frenetico psicoanalista da manicomio, e in Massimiliano Gallo, l’imbranato, piagnucoloso, capriccioso Bello di papà. Antonella Elia e Biancamaria Lelli sono la fidanzata del dentista e l'assistente dello psicanalista, con avvenenza, verve e ironia; tratteggiano farseschi caratteri Adele Pandolfi, la mamma di Antonio; Domenico Aria, il fratello, e Rosa Miranda, sua moglie; e Antonio Guerriero, Franco Cortese, Roberta Formilli.
Ugo Ronfani
Con Antonella Elia è al centro dello spassoso «Bello di papà»
Stavolta per recensire Vincenzo Salemme è d'obbligo rifarsi a Totò. Con l'avvertenza di mescolare anche un pizzico generoso dell'arte di Eduardo, leader indiscusso della scuola d'arte partenopea del nostro dopoguerra. Perché in Bello di papà, la nuova fatica di questo irresistibile facitore di farse, l'autore-regista supera se stesso mescolando magistralmente gli apporti più diversi. Dalla sceneggiala alla slapstick comedy di fattura newyorchese senza mai tradire quegli spiriti genuini e quegli acri umori napoletani da sempre il suo marchio di fabbrica. Così accade infatti nella vicenda di Antonio, dentista, felice convivente della bella Antonella Elia che, per il semplice fatto di posticipare ab aeterno la nascita dell'erede ansiosamente desiderato dalla compagna, si vede appioppare da un marpione di professione psichiatra nientemeno che l'amico del cuore. Presentato dallo specialista di sconquassi emotivi come un rarissimo caso di sindrome regressiva, quel quarantenne tutto d'un pezzo passerà presto dallo stadio infantile cui è stato ridotto dall'ipnosi all'autentica maturità, evitando il rischio fatale di un'alienazione prossima a sfociare nel suicidio, solo se Antonio gli farà da padre per tutta la durata della terapia. Avrete già capito a cosa porterà tanta sollecitudine da parte del protagonista, al di là dello scontatissimo exitus finale. Che sarà felice, se non fosse per... Basta, non voglio rivelarvi di più. Andate invece ad applaudire il nuovo esempio d'ilarità partenopea che stavolta ha superato se stesso in un commosso omaggio, tra le righe, a Sabato, domenica e lunedì.
Enrico Groppali
una farsa morale, risate a crepapelle
E' al primo posto nella classifica degli spettacoli più visti della stagione scorsa. C'è da capirlo, il pubblico. Affezionato al teatro, mai diserta le occasioni che regalano, insieme, divertimento, anche ruspante, e genuinità di approccio, vedi la commedia in due atti Bello di Papà, scritta, diretta e interpretata da Vincenzo Salemme. Adesso il popolarissimo attore napoletano è a Roma, all'Olimpico, dove tutte le sere, da qui al 27 aprile, interpreta alla sua maniera il tradizionalmente conflittuale rapporto genitori/figli. Scritto nel 1996 per una coppia di attori che alla fine rinunciarono all'allestimento, il testo giacque fino all'anno passato, quando l'autore decise di realizzarlo per sé e per la propria compagnia, creando altresì nuovi personaggi e nuove situazioni.
I meccanismi della storia si rifanno alla tradizione della farsa e della pochade, giocano sui luoghi comuni interni ed esterni alla famiglia, intrinsecamente comici, sui qui pro quo, gli scambi di ruolo, le esagerazioni farsesche. Al centro, Antonio (efficacissimo Salemme), un bel tomo non più giovanissimo incapace di assumere responsabilità che, per età, gli competerebbero. Fidanzato da una vita con una donna desiderosa di prole, cincischia per metodo in tema di matrimonio e di procreazione, scoperchiando in tutti i sensi la cassaforte dei legami parentali, oggi squassati dall'impropietà, dall'inadeguatezza, dalla necessità di essere rifondati. Gli è "utile" il confronto con Emilio, un amico orfano fin dall'infanzia che ha bisogno dello psicanalista per supplire alla mancanza di una sia pur labile figura paterna.
Rita Sala