un progetto di Nunzio Areni
scritto e diretto da Bruno Garofalo
coreografie: Aurelio Gatti
rielaborazioni musicali: Edoardo Bennato
con Mariano Rigillo, Mario Brancaccio, Virgilio Brancaccio, Fiorenza Calogero, Franco Pastiglia, Anna Teresa Rossini, Sergio Solli, Patrizia Spinosi
Caserta vecchia, 11 settembre 2007
Rigillo e l’utopia degli attori per Sfessania
Il fondale e le quinte, che accolgono un paesaggio urbano evidentemente riferito a Napoli, sembrano tratti pari pari dalla pittura fiorentina del Quattro e del Cinquecento; e mi fanno pensare, soprattutto, a Paolo Uccello: che coltivò, insieme, il puntiglio scientifico e la fantasia fanciullesca, anticipò il cubismo e - non potendo comprarsele, le creature che amava tanto da averne mutuato il nome - le dipingeva su una parete della sua stanzuola. E nel sonno, come immaginò Pascoli, sognava che quelle (fringuelli e rondini e tortore e colombi...) uscivano dall’affresco, vere e vive quanto i palpiti del cuore. Sì, è proprio questo «Balli di Sfessania», lo spettacolo che Media Aetas e Doppiaeffe hanno presentato in «prima» nazionale, al teatro della Torre di Casertavecchia, nell’ambito di «Settembre al borgo»: ispirato alle incisioni di Callot, fonde la rievocazione del passato con la riflessione sul presente, e dunque la filologia con il sentimento, l’analisi con il desiderio, l’abbandono giocoso con l’affondo polemico. E basta, in proposito, considerare anche brevissimamente la trama ideata da Bruno Garofalo, che dello spettacolo in questione è autore, regista e scenografo. Si tratta del viaggio di un gruppo di commedianti e del loro capocomico, il capitano Malagamba, per l’appunto verso Sfessania, l’utopico paradiso in cui gli attori potranno finalmente vivere e lavorare con dignità, affrancati nello stesso tempo dalla fame e dai «protettori», in specie da quelli politici. La sostanza della rappresentazione, insomma, è di carattere allegorico. E di conseguenza la trama costituisce un semplice appoggio per la proposta di una nutrita serie di «numeri», ricavati da gliommeri, scenari e canovacci cinquecenteschi oltre che dalla produzione musicale coeva, oscillante fra le moresche di Orlando di Lasso e celeberrime villanelle quali «La morte de mariteto» e «Vurria addeventare». Parliamo, ovviamente, di materiali oltremodo preziosi. Ma il dato decisivo è che, nella circostanza, vengono rivisitati da una compagine di operatori che, a loro volta, rientrano fra i più dotati e rappresentativi delle ultime generazioni. Che dire, al riguardo, di Mariano Rigillo, che, nel ruolo di Malagamba, offre - sul terreno della stilizzazione e del rigore tecnico - un’autentica prova da antologia? E che dire di Eugenio Bennato, che quelle moresche e villanelle rielabora con virtuosistica sapienza, conservandone il sapore antico ma corroborandolo con ritmica moderna? E le coinvolgenti coreografie di Aurelio Gatti, i puntuali costumi di Mariagrazia Nicotra, le precisissime maschere di Giancarlo Santelli? Tutti bravi, accanto all’impareggiabile protagonista, anche gli altri interpreti: da Anna Teresa Rossini a Sergio Solli, da Mario Brancaccio a Franco Castiglia, da Patrizia Spinosi a Peppe Parisi e a una Fiorenza Calogero che ancora una volta mette perfettamente a frutto la sua splendida voce in una vellutata esecuzione della tradizionale «Vulumbrella». Infine una sommessa considerazione. È importante che un attore come Mariano Rigillo - voglio dire un attore di rango e con una storia prestigiosa - levi con questo «Balli di Sfessania» un sacrosanto e orgoglioso grido d’allarme contro l’asfittica situazione del teatro. Ma l’autore del progetto relativo a «Balli di Sfessania» non è quello stesso Nunzio Areni che ricopre la carica di vicepresidente della Fondazione che sovrintende al «Festival Teatro Italia» circa il quale Rigillo avanza dubbi e chiede lumi?
Enrico Fiore