di David Hare
Traduzione, adattamento, regia di Luca Barbareschi
Con Lucrezia Lante della Rovere, Luca Barbareschi, Paolo Marconi
Scene di Tommaso Ferraresi
Costumi di Federica De Bona
Luci di Pietro Sperduti
Foto di Tommaso Le Pera
Teatro Eliseo dal 17 dicembre 2019 al 5 gennaio 2020.
E dal 7 al 12 gennaio 2020 ospite del Teatro Stabile dell’Umbria (in teatri di Todi, Foligno, Gubbio, Narni)
Storia di una storia simile
Lui, benestante in abito stazzonato, è un imprenditore energico, umorale, imperterrito (tipico esemplare del “mondo di sopra”), quantunque tormentato e compulsivo dopo la morte della moglie che, a suo modo, amava e alla quale – senza ammetterlo- ancorava una buona dose di dipendenza psicologica. Lei (scivolata consapevolmente e per dignità nel “mondo di sotto”) è una insegnante assegnata ad un problematica scuola periferica- agli sprofondi della (degradata) metropoli- verso la quale, ogni mattina, svegliandosi all’alba, si avvia, facendo lo slalom dei mezzi pubblici.
Sullo sfondo degli anni del thatcherismo, la commedia di David Hare (sceneggiatore e commediografo inglese più volte candidato all’Oscar) racconta l’incontro (di una sola notte), dei due ex amanti: notte in cui sembra che tornino ad infiammarsi “sia i fantasmi erotici di un tempo, sia le differenze ideologiche”, unificate da un (non debellabile) senso di colpa e da un sapore di conflittuale competizione - che sfoceranno in una nuova, tediante separazione, appena decantata dal senso dell’inevitabile, E dall’amicizia che forse tornerà a lenire il rapporto di lei con il figlio di lui, ragazzo estroverso ed ancora in cerca di una propria identità (sentimentale, lavorativa ed altro ancora). Sintetizza l’autore “è un incontro”, ma al tempo stesso “la conferma di un insanabile dissidio fra due solitudini, due mondi, due età, tra la cultura conformista di lui e l’anticonformismo di lei”.
Fin qui, le intenzioni “conformi” (al copione), le ambizioni socio-psicologiche già presenti nella prima edizione de “Il cielo sopra il letto” (nome che l’uomo aveva dato alla casa-veranda ove morì la moglie) che Luca Barbareschi e Lucrezia Lante Della Rovere avevano inscenato circa vent’anni fa al Teatro dei Satiri di Roma. Quel che segue è la cronaca della sua ‘ripresa’ natalizia allo storico Eliseo, addobbato a festa, sino all’alberello ed ai finti fiocchi di neve nella finale sequenza ad effetto. Ma ‘minacciato’ da una severa crisi finanziaria che, per l’attore-regista, si rabbuia di corollari giudiziari. Che non riguardano, per competenza, l’opinione (pur presente e garantista) del critico drammatico. Semmai da esternare in altro articolo.
Al dunque, Saverio ed Elisabetta, nomi dei personaggi nell’adattamento italiano, sostanziano la loro ragion d’essere (sulla scena come nella ‘vita immaginata a teatro’) sulla misura (e pregnanza) di uno psicodramma che riguarda entrambi. Essendo stati, i due protagonisti (e non è gossip), uniti per tanti anni da analoga passione riflessa in palcoscenico. E, soprattutto, essendo Barbareschi, navigato impresario e operatore culturale che “usa” (legittimamente) le occasioni della ribalta per “confessare se stesso” stuzzicando la complicità del pubblico. Così come puntualmente è accaduto la sera della prima. Essendo peraltro quasi impossibile “recitare con rabbia” un testo amoroso senza andare sopra le righe, salvo cimentarsi con un’opera di Osborne o Wesker. E quindi adagiarsi su un genere di interpretazione di gusto indomito, polemico, autobiografico (“catilinario” insegnava De Monticelli). In autodifesa del proprio agire, pensare, operare, nella oggettiva assenza di una politica culturale “sul territorio” e sui “luoghi dello spettacolo” degna di dirsi tale. Ovvero rimaneggiare l’odierno copione e ‘aggiornarlo’ all’occorrenza, sino a renderlo impetuoso ma verboso, comunque fagocitato dal grande Ego e dalla innegabile maestrìa del “recitare anche a braccio”.
Una spanna più in su si colloca invece Lucrezia Lante della Rovere, vibratile, determinata, ‘a testa alta’ nel non facile ruolo di Elisabetta, disegnato con sobrietà di movenze ed accenti. Così come emerge, per brio e disinvoltura anche il più giovale Paolo Marconi, mentre assolve con estro diligente al ruolo del figliolo in attesa di futuro. Funzionale, ma convenzionale lo spazio scenico (a firma di Tommaso Ferraresi) condensato nell’ampio monolocale (angolo cottura, divano letto, grande tavolo al centro) che è sobria dimora di una vita tornata alle sue “non ostentate” origini.
Angelo Pizzuto