di David Mamet
Regia di Luca Barbareschi
Interpreti: Luca Barbareschi, Lunetta Savino, Massimo Reale e con Duccio Camerini
Scene: Tommaso Ferraresi
Costumi: Anna Coluccia
Luci: Iuraj Saleri
Musiche: Marco Zurzolo
Suono: Hubert Westkemper
Video: Claudio Cianfoni
Dramaturg: Nicoletta Robello Bracciforti
Traduzione: Luca Barbareschi
Produzione: Teatro Eliseo, Fondazione Campania dei Festival- Napoli Teatro Festival Italia. Palazzo Reale – Cortile d'onore 3, 4 luglio 2017
al V.Emanuele di Messina dal 22 al 24 febbraio 2019
Gira e rigira la colpa ce l'hanno sempre i giornali e i giudici. Tesi sostenuta nel suo recente lavoro del 2016, Il penitente, dal drammaturgo statunitense David Mamet, ispiratosi ad una storia realmente accaduta negli States, subito abbracciata da Luca Barbareschi che di Mamet è grande sodale nonché traduttore e regista dei suoi lavori più noti come American Buffalo, Glengarry Glen Rosse e altri, per il modo come i media hanno sbattuto in prima pagina l'operato dello psichiatra Charles, pure ebreo, interpretato con la sua tagliente vocina dallo tesso Barbareschi, che appare con alcuni chili in più e kippah in rossa in testa, accusato di omofobia per aver detto in un'intervista che l'omosessualità del suo giovane paziente pluriomicida è un'aberrazione. Sostenendo poi in maniera risoluta di non aver mai utilizzato questo termine discriminante, ma di aver parlato solo di adattamento. I giudici da canto loro invece di prendersela con chi ha causato una strage di dieci persone, se la prendono con lo psichiatra che, rispettando il giuramento di Ippocrate con tutti i suoi etici risvolti, ha rifiutato di denunciare i propositi omicidi del suo giovane paziente, annotati in un taccuino che non vuole esibire in tribunale e che potrebbero servire agli avvocati della difesa per giustificare in certo modo il perché di quella strage. Lo spettacolo apparso due anni fa al Napoli Teatro Festival giunge al Vittorio Emanuele di Messina forse con ulteriori tagli vista la durata di 75 minuti e non i 90 segnati nei comunicati stampa, acquistando l'attenta regia dello stesso Barbareschi un'ulteriore dinamicità messa in atto negli otto quadri o otto round d'un ring, proiezione d'un mega cubo a mezz'aria, un bell'elemento da designer buono ad illuminare la piccola scena quadrata, ma anche a proiettare nei quattro lati spot pubblicitari e immagini a colori o in bianco e nero d'una sfilza di personaggi come Sacco e Vanzetti, Enzo Tortora, il pugile di colore Rubin Hurricane" Carter e altri, condannati ingiustamente da tribunali miopi e/o razzisti. La scena di Tommaso Ferraresi si completa con un tavolo e un paio di sedie, simbolo d'uno studio o d'una stanza di lavoro, dove vi compaiono la moglie dello psichiatra Kath di Lunetta Savino, apprensiva non più di tanto per le sorti del marito, tradito per giunta con l'amico avvocato Richard di Massimo Reale che le fa vedere gli appunti segreti del marito, poi lei si taglia le vene, non per lo status confuso del marito ma perché l'avvocato la lascia tornando alla sua famiglia. Appare pure un avvocato, quasi da santa inquisizione quello di Duccio Camerini, che indaga sulla fede religiosa dello psichiatra che si è rifugiato intanto nell'interpretazione della Torah e nelle leggi ebraiche che proibiscono i rapporti omosessuali. Insomma cosa avrebbe dovuto fare lo psichiatra quando quel giovane paziente si è presentato a lui con una pistola in mano dicendogli che avrebbe compiuto una strage? Un interrogativo risolto soltanto dalla bellissima canzone Hurricane cantata da Bob Dylan in chiusura di spettacolo come in una lunga cavalcata.
Gigi Giacobbe