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NON FARMI PERDERE TEMPO - regia Massimo Andrei

"Non mi pento di niente", regia Beppe Rosso. Foto Salvatore Pastore "Non mi pento di niente", regia Beppe Rosso. Foto Salvatore Pastore

di Massimo Andrei
con Lunetta Savino
musica Eduarda Iscaro
scene Daniele Stella
aiuto regia Mario Zinno
regia Massimo Andrei

Teatro Monticello – Grottaglie (Ta) 14 febbraio 2020

www.Sipario.it, 15 febbraio 2020

“Breve, ma intenso!”. È esattamente così che si può definire il gioiellino drammaturgico di Massimo Andrei, attore, regista e drammaturgo napoletano, che la bravissima Lunetta Savino porta in scena durante questa stagione teatrale. “Non farmi perdere tempo” è il titolo dell’opera, un monologo dalle sfumature tragicomiche che, la brava Lunetta, versa sul pubblico, con eleganza e semplicità, in un’ora circa di dialogo che passa come fossero veramente cinque minuti. Come fosse una seduta dal dottore, che, non a caso, inerisce col tema dell’opera.
Tina, la protagonista (Lunetta Savino), a un certo punto della sua vita, decide di affrontare e concludere molte delle faccende ordinarie e straordinarie, delle aspirazioni e passioni che ha a lungo sopportato, rimandato o atteso. Siano esse familiari o d’amore, di lavoro o di divertimento, vanno affrontate subito: il tempo stringe. Naturalmente non tutto si può fare, ma vale sempre la pena cercarne o, perlomeno, conquistarsene la possibilità.
In realtà non c’è molto da dire su questa messa in scena. È evidente, che la questione del tempo “da non perdere” riporta immediatamente al fatto che, Tina, è una donna in disfacimento per via di una forte malattia che la condurrà, da lì a qualche anno, alla morte. All’età di nemmeno trent’anni, pare ne abbia più di quaranta; e i sogni che da sempre ha coltivato, urge realizzarli. Come detto: sogna dei figli, un amore, e la carriera da cantante. Ma il tempo passa, e la sua condizione di malata, sembra più allontanarla dalla società che invece, meglio, dovrebbe integrarla, proprio perché in difficoltà. Lo si legge in tanti passaggi: dalla base musicale che tarda ad essere realizzata, dalla mancata sincerità di un medico abituato a centellinare le tristi notizie inerenti al suo stato di salute, all’amore non corrisposto che Giuliano non accenna a ufficializzare. Tanti aspetti che, praticamente, la danno già da subito per morta, senza speranza; e la ritengono una donna debole e ormai incapace di affrontare ciò che le resta della vita.
Nonostante in ottima salute, con una particolarissima e leggera interpretazione, la fisicità scarna della Savino, sembra essere stata plasmata appositamente per il ruolo di Tina; ed è molto probabile, se si tiene conto delle preparazioni alle quali si sottopongono gli attori per interpretare alcuni ruoli (vedi per esempio Joaquin Phoenix, premio Oscar2020 come miglior attore protagonista, per “Joker”). Bravissima Lunetta! Coerente e precisa, senza mai lasciare vuoti per tutto il tempo. Lodevole, oltretutto, la sua praticità nell’interpretare un ruolo dalle cadenze napoletane, nonostante lei sia pugliese. In merito a questo, è interessante notare quanto, anche in questo caso, l’utilizzo drammaturgico di un linguaggio come quello partenopeo, esalti magnificamente momenti sia comici che drammatici. E che conferma la meravigliosa intuizione che fu di molti maestri del teatro e del cinema italiano (da Pirandello fino a De Sica, De Filippo, Monicelli, Rossellini, ecc.), di utilizzare il vernacolo, o il “popolano”, nel raccontare ed enfatizzare grandi storie.
Consolidato il fatto che la protagonista tenta in ogni modo di combattere fino alla fine per le sue ambizioni, la scelta stilistica dei costumi, trasandati e poco curati nell’accostamento e nella selezione, invece, enfatizzano e condannano il personaggio. Equilibrando in modo definitivo quel sottile filo comico che emerge a fatica, e mai in modo prevalente, dalla triste trama dell’opera.
L’illuminazione, come per parecchie opere moderne e con pochi interpreti (in questo caso in scena vi è solo la Savino), aiutano lo spettatore nel percorso narrativo e fisico del protagonista, che passa dall’arancione della sua abitazione, al giallo del pianerottolo e delle scale, all’azzurro dello studio medico, fino a raggiungere la colorata ribalta di un locale. Essenziale e un po’ approssimativo è, in fine, l’allestimento scenico. Poco ambizioso, lo si nota; al contempo, anche poco considerato, a quanto pare, nell’allestimento generale dello spettacolo.
Ma, “non fatemi perdere tempo” con altre parole! E non perdete tempo! Opere teatrali come questa, sono momenti importanti da non trascurare. Sono da vedere! Perché impattano esattamente come devono e dove devono, con potenza e sintesi. E, aspetto da non trascurare, senza stancare, in ogni caso, per ore e ore lo spettatore.

Valerio Manisi

Ultima modifica il Lunedì, 17 Febbraio 2020 22:35

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