di Harold Pinter
con Claudio ‘Greg’ Gregori e Simone Colombari
regia di Claudio Gregori e Simone Colombari
produzione LSD Edizioni
al teatro Bellini, Casalbuttano (Cremona), 1 aprile 2023
Al termine de Il calapranzi di Harold Pinter con Claudio ‘Greg’ Gregori e Simone Colombari viene voglia di riprendere in mano il testo per capire perché lo spettacolo non sia centrato, soddisfi a metà, ma abbia in sé una coerenza recitativa e una sua qualità interpretativa che pure non fanno centro, non soddisfano, fanno restare sospeso il racconto senza la dovuta dose di attesa e angoscia. Appare spuntata, un atto mancato anche quella vis comica amara che lega vittima e carnefice, che lega solitudini in balia di qualcosa o qualcuno a loro esterni, come capita per i personaggi di Samuel Beckett e in fin dei conti anche con i testi aurorali di Pinter.
Così finito di vedere in scena quei due strani figuri, Ben (Colombari) e Gus (Gregori) che si ritrovano in una stanza in attesa di una telefonata che dica loro cosa fare, che armeggiano con due pistole e sono alle prese con un calapranzi che vomita ordinazioni di pietanze viene voglia di misurarsi col testo. Il pubblico del Bellini si aspetta forse di ridere, di avere a che fare con uno spettacolo di cabaret, vista la presenza di Greg, la metà razionale della coppia Lillo & Greg. Questo è un problema, forse, lo è se ci si dimentica che si è alla presenza di Harold Pinter e con uno dei suoi primi testi, Il calapranzi che ne segna l’esordio con Il compleanno, La stanza e La serra. Ma se rileggendo Il compleanno, dopo la versione deludente offerta al Comunale di Casalmaggiore e al Ponchielli di Cremona da Peter Stein, si aveva avutol’impressione di un testo legnoso e poco fluido, così non è per Il calapranzi che in sé ha tutti gli estremi di un gioco al massacro, di una violenza contro una vittima inconsapevole (Gus?) e la condizione paradossale di due personaggi che si nutrono e si costruiscono pian piano nel proseguire del loro chiacchierare di tutto, in attesa di una telefonata che dica a loro cosa fare, con quelle pistole che compiono all’improvviso e sono segnali inquietanti, di offesa come di difesa.
Nell’entrare in scena di Gregori e Colombari, nel mostrare le fondine con le pistole, nell’assenza dei due letti su cui i due vegetano c’è il rischio di rompere il meccanismo del testo. Nell’originale all’aprirsi del sipario i due sono già in quella stanza insolita, sotterranea, in attesa di che cosa non si sa, c’è in questo l’inquietudine di un racconto che parte in media res e che nella messinscena della coppia registica Gregori/Colombari non c’è. Non si vuole arrivare alla conclusione che toccare testi come Il calapranzi rischi di rompere il meccanismo, ma questo è il pensiero che sorge alla lettura della pièce a caldo, dopo la visione dello spettacolo, nel cuore della notte.
Nel testo c’è tutto: ci sono ironia e angoscia, c’è il sentirsi in balia di qualcosa e l’essere stati convocati con urgenza. Simone Colombari è Ben, dei due il personaggio più forte, che sembra sapere in anticipo quello che accadrà, che domina per certi versi Gus, alias Claudio Gregori che sa essere remissivo, senza parere sottomesso, che esegue e cerca di capire cosa potrebbe attenderli, s’interroga su quegli ordini che arrivano da un ristorante sopra le loro teste, ma di cui il suo compagno sa di più di quanto non voglia svelare. Nelle pause che legano i due c’è un senso di protezione da parte di Ben verso Gus, per Gus c’è invece il senso da decifrare con cui il suo sodale lo scruta. Tutto questo è più evidente nel testo che nello spettacolo, i tagli apportati all’originale non sono significativi, lo è più la decisione di mutare gli spazi, rendere quella stanza astratta, con cubi luminosi. Ed è forse questo aspetto di astrazione che rende poco incisivo ciò che accade, un’azione fatta su dialoghi e situazioni di grande concretezza che nella loro successione diventano un rito destinato a un epilogo che forse esplicita come la vittima designata – questa volta – sia Gus e non un non meglio identificato soggetto che dovrebbe raggiungere i due. Gregori e Colombari recitano e dicono con convinzione il testo, sono nella parte, ma per così dire è il contesto scenico che ne distrae l’efficacia del dire, ne allontana e a tratti banalizza il fare, manca una visione esterna che possa dare loro la giusta temperatura e distanza da prendere fra loro. Ed è forse per questo che alla fin fine Il calapranzi di Greg e Colombari lascia tiepidi i più e appare come un’occasione mancata, ma anche un esempio di come l’attor comico Gregori sappia con intelligenza mettersi in gioco senza il suo Lillo.
Nicola Arrigoni