Di Alberto Savinio
Regia di Giuseppe Emiliani
Scenografia di Andrea Stanisci
Interpreti: Edoardo Siravo, Virgilio Zernitz, Vanessa Gravina
Teatro La Contrada di Trieste e La Biennale di Venezia - Teatro Fondamenta Nuove
Trieste, 20 novembre 2009
Il mito classico è destrutturato con enfasi ludica in un rutilante e cavilloso scherzo di teatro nel teatro. A straniarlo e a dileggiarlo sul palcoscenico è uno scrittore-spettatore, un po’ sornione, un po’ provocatore, di autentico stampo pirandelliano. Nel dramma che Alberto Savinio (alias Alberto de Chirico) ha creato nel 1925, Ulisse non è più Ulisse, è un desiderio, una nostalgia vagante, “una finestra murata che ha chiuso il suo occhio al cielo”. È debole, ridotto a nulla, il più infelice dei mortali insomma. S’imbatte in Circe, Calipso e Penelope ma esse finiscono per rappresentare per lui un’unica donna che perseguita periodicamente il suo destino di “schiumatore dei mari”, ridotto ormai a temere più la speranza che la morte. “Capitano Ulisse” racconta infatti tutto quello che, nei secoli, dell’eroe omerico non è stato interpretato, tutto quello che su di lui non è stato mai detto. Più che di un’attualizzazione della sua figura si può parlare dunque di problematizzazione: è lo stesso personaggio che parla con il drammaturgo della sua incapacità di capire in che cosa credere e in che cosa no, della sua stanchezza, del suo peccare per eccesso di futilità. Il regista Giuseppe Emiliani – nell’interessante allestimento coprodotto dal Teatro La Contrada di Trieste e La Biennale di Venezia - Teatro Fondamenta Nuove – sottolinea ancor di più il richiamo ai “Sei personaggi in cerca d’autore” racchiuso nella scrittura saviniana, preziosa ed arguta in ogni parola, e dirige con maestria un cast di validi attori. Avvolto da curiose scenografie surrealiste (di Andrea Stanisci), Edoardo Siravo (Ulisse) si dibatte nella prigione di incomprensione che lo circonda, polemizza con l’autore (un pacioso e acuto Virgilio Zernitz) e affronta via via maghe, ninfe e mogli che lo hanno blandito con lusinghe. Esse sono tutte impersonate con garbo dall’affascinante Vanessa Gravina, memorabile soprattutto nel ruolo di Circe, archetipo muliebre seducente ed estenuato di eroina dannunziana. Decisamente entusiasta l’apprezzamento del pubblico, sorpreso nel finale di vedere Ulisse che abbandona la sua reggia e se ne scende in platea, "con soprabito, cappello in testa e bastone in mano", e con "spirito libero, pacato e fiero", per diventare, forse, autosufficiente, o smarrirsi per sempre in un tragico soliloquio.
Elena Pousché