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CLAUS PEYMANN - regia Carlo Cecchi

Claus Peymann Claus Peymann Regia Carlo Cecchi

di Thomas Bernhard
con Carlo Cecchi, Elia Schilton
Sik Sik l'artefice magico
di Eduardo De Filippo
con Carlo Cecchi, Angelica Ippolito, Roberto De Francesco, Diego Sepe, regia: Carlo Cecchi
scene e costumi: Titina Maselli, realizzazione scene e costumi: Barbara Bessi, luci: Paolo Vinattieri
Milano, Teatro Franco Parenti dal 30 ottobre al 2 novembre 2007
Milano, Teatro Franco Parenti, dal 9 al 21 dicembre 2008

www.Sipario.it, 7 gennaio 2009
Panorama, N. 52 2008
Corriere della Sera, 10 dicembre 2008
Il Manifesto, 25 novembre 2007
Corriere della Sera, 4 novembre 2007
Il Messaggero, 17 novembre 2007
La Repubblica, 5 novembre 2007
www.Sipario.it, 16 novembre 2007
Il Giornale, 13 novembre 2007
Avvenire, 2 novembre 2007
Lí per lí, prima che il sipario del Teatro Duse di Genova si spalanchi, può incuriosire il fatto che in uno spettacolo solo convivano due testi tanto diversi: Claus Peymann compra un paio di pantaloni e viene a mangiare con me di Thomas Bernhard e Sik-Sik, l’artefice magico di Eduardo De Filippo. Come il medesimo allestimento riesce a conciliare poetiche testuali tanto divergenti? Perché una scelta cosí originale e ardita, un accostamento che alcuni potrebbero ascrivere addirittura alla stravaganza?
A sipario spalancato quello che affascina e cattura sono proprio le risposte che un Carlo Cecchi dalla formidabile incisività fornisce, con il proprio linguaggio d’attore, a simili interrogativi. La direzione espressiva impressa da Cecchi a questo dittico non cambia, nella sostanza, durante il passaggio dall’uno all’altro tempo della messinscena. Quando lo vedi lí, questo sempre sorprendente regista-interprete, in proscenio, indugiando controvoglia in una pausa incerta o, al centro del palco, sospeso a mezz’aria tra il suo napoletano tutto artificiale, laboratoriale e una dizione spezzata in mille circonvoluzioni musicali dell’impasto tonico, timbrico costruito nel corso di decenni dal Cecchi primo attore «all’antica italiana», l’impressione che hai è che Peymann sia un Sik-Sik a cui le cose sono andate meglio di quanto lui stesso potesse aspettarsi. Allo stesso modo in cui, quando Cecchi indossa, ludico e funereo, il kimono di Sik-Sik, ti sembra che Sik-Sik sia un Peymann che i debiti hanno lasciato in mutande. Due uomini di scena, insomma, sovrapponibili, intercambiabili.

La nuova produzione di Cecchi dunque, considerata in quanto risposta, si profila come un memorabile sì. Un sì al teatro, alla scena. Un sì pronunciato con forza dall’attore, inteso come mestiere teatrale, la cui vitalità assorbe tutti gli altri ruoli e codici scenici: regia, illuminazione, musica, scenografia. Ed è una fortuna, una vera fortuna che, sulle scene italiane, a cantare un inno così pregnante al teatro come arte di recitare sia l’attore che porta il nome, i panni, il corpo e la creatività strabiliante di Carlo Cecchi.

Yuri Brunello

Cecchi sbeffeggia le magie della scena

Che bell'incrocio fra drammaturghi incompatibili: il genio malmostoso di Thomas Bernhard scioglie la sua bile a contatto con il talento farsesco di Eduardo De Filippo nello spettacolo divertente e pertinente (al Teatro Parenti di Milano) che Carlo Cecchi ha ricavato dagli atti unici Claus Peymann compra un paio di pantaloni e viene a mangiare con me e Sik Sik l'artefice magico. Due testi diversamente esilaranti (con Bernhard si ride verde) ma accomunati dallo stesso tema: il senso (o il nonsenso) del teatro. «Metateatrali» li definirebbe uno di quei critici sapientoni che Bernhard sbeffeggia come smorte silhouette da ficcare nella valigia del suo Peymann, caricatura d'un regista autentico, che Cecchi impersona con felice e svagata sprezzatura duettando col bravo Elia Schilton.

Eccolo poi, con la strascicatura napoletana appresa da Eduardo, trasformarsi in Sik Sik, illusionista da strapazzo, che ne combina di cotte e di crude con colombe e lucchetti. Sik Sik è vittima della routine proprio come Peymann, col suo sogno di concentrare tutto Shakespeare in un solo spettacolo, lo è dell'impegno. Il resto è teatro.

Roberto Barbolini

Cortocircuito geniale di Cecchi

Con l' accostamento di due atti unici «Claus Peymann compra un paio di pantaloni e viene a mangiare con me» di Thomas Bernhard e «Sik Sik, l' artefice magico» di Eduardo De Filippo, Carlo Cecchi crea genialmente un cortocircuito tra due realismi amari. Da una parte l' ironia tagliente di Bernhard fa a brandelli, in un procedere per folgoranti scene, il mondo del teatro e della cultura nella sua odiata Austria, e dall' altra l' abiezione senza riscatto del «mago» Sik Sik trova la sua grandezza proprio nella cialtroneria, nel credere e nel dover credere nell' inganno della scena, anche di fronte alla catastrofe delle povere illusioni mandate a monte da un compare maldestro. L' intelligenza interpretativa e registica di Cecchi offre una lettura viva, beffarda e sbeffeggiante di Bernhard nella quale c' è la grandezza beckettiana del quotidiano che si fa metafora, un' ossessività scespiriana e un «guittume» che si fa arte. Bravissimo in Bernhard al fianco dello strepitoso Cecchi, è Elia Schilton, impegnato in più ruoli, mai grottesco, mai caricaturale ma sempre vero sia quando è perso nei pensieri non pensieri nel personaggio dell' Autore e del Direttore sia in quelli surrealmente organizzativi della segretaria. Bravi anche in «Sik Sik» Angelica Ippolito, Roberto De Francesco, Diego Sepe. Da vedere. Teatro Franco Parenti, fino al 21 dicembre

Magda Poli

L'illusionista

A pensarci «a freddo» poco sembrerebbero avere in comune la scrittura colta e pungente di Thomas Bernhard con le «favole» popolari di Eduardo De Filippo. Eppure la grandezza teatrale di Carlo Cecchi riesce a fare di due atti unici dei due autori una riflessione eccelsa, prismatica e unitaria, sulla magia del teatro. Perché di «maghi» parlano entrambi i testi: i Dramoletti di Bernhard sono scanditi in tre flash drammaturgici dedicati a Claus Peymann, il regista cui il grande scrittore austriaco era solito affidare i propri scritti teatrali in un rapporto di fiducia totale (e spesso anche esclusiva). Fino a mettere se stesso in scena, mentre accompagna il regista per i negozi viennesi in cerca di un paio di pantaloni da comprare. Occasione non certo consumistica, ma di alta e concreta speculazione sul teatro, seppure calata nelle prove, nei commenti e nei criteri di scelta del capo da acquistare. Torna per l'occasione una delle scenografie più geniali che si ricordi, quel Ring viennese luogo di passeggio e compere, che Titina Maselli ottenne con un semplice percorso ovale di luci. Gli altri due dramoletti (il primo e il terzo) mettono lo stesso Peymann a confronto con la sua segretaria al momento di un prestigioso trasloco dalla direzione di un teatro ad un'altra, e poi con il suo dramaturg e manager Hermann Beil. Persone che esistono, ma che nella scrittura di Bernhard divengono luogo di dibattito e anche di svelamento del teatro, e forse anche della cultura austrotedesca.
Peymann oggi dirige il Berliner Ensemble fondato a Berlino da Bertolt Brecht, e proprio in questi giorni riceve a Palermo il premio Mondello. È un regista importante e molto operoso, dall'identità ben segnata. Eppure Cecchi, assumendone il ruolo, ne fa un personaggio di sua stretta «proprietà». Toni, inflessioni e ritmi sono quelli noti del grande attore, come la passione che gli consente di trasformare quei testi, poco più di sketch quanto a durata, in un percorso scoppiettante nella natura e nella possibilità del teatro oggi. Con una «spalla» di alta efficacia come Elia Schilton che come segretaria in abiti muliebri e poi in quelli più correnti di Beil, dà la sponda al racconto amaro e comico di quella che è loa scena nell'Europa di oggi, mentre resta la sorpresa di come la scrittura di un grande Bernhard, apparentemente così «fuori dal mondo», sappia cogliere e stringere nei meccanismi del teatro una crudele visione del mondo.
E con un meccanismo non troppo diverso quanto a ispirazione, seppure lontanissimo nel linguaggio e nella cornice, anche Eduardo De Filippo proietta nel baraccone di un illusionista da quattro soldi rapporti e credenze di una umanità, tenera e cialtrona. Quella di Sik Sik artefice magico è proprio la «piccola magia» di un imbroglione popolare, che conta sul pubblico credulone per i propri imbroglietti, anzi «magie», senza costrutto e senza pudore. Attraverso la complicità di un compare che gli tenga il gioco e gli permetta di fare la sua figura di artefice miracoloso. E se questi non si presenta in orario, va bene il primo disgraziato di passaggio, dopo istruzioni «opportune» che si rivelano una sorta di manualetto pratico su come far apparire spontaneo quel che è fintissimo, naturale quello che è artefatto, vero quel che è smaccatamente fasullo.
Il racconto scenico di Eduardo è semplice ed elementare nel raccontare attraverso la pratica più popolare ed ingenua come era quella degli illusionisti, grandezze e abissi del teatro. E se certo non mancavano nella prima metà del novecento illusionisti di massa capaci di scatenare folle eserciti ed interi paesi fino alle guerre mondiali, oggi quel tipo di comportamento permea la società ancor più profondamente. Anche se abbiamo imparato molto nel frattempo riguardo a persuasori palesi e occulti, lo spettacolo resta irresistibile, e di abissale crudeltà.
Gli equivoci di Sik Sik, della sua moglie attonita e incinta, e dell'apprendista imbroglione per vincere la diffidenza e ottenere l'applauso del pubblico, sono casi da povero manuale. Ma anche foto strabiliante di quello che viviamo. Per scambiare l'inchiostro con l'acqua fresca (sarà mica l'arte dell'informazione taroccata), i lucchetti veri con quelli falsi per il numero classico del baule, e soprattutto per il «palummo niro» che dovrebbe uscire dal classico cappello, mentre si rivela un gallinaccio ignaro dopo che il colombo se ne è volato via (come vediamo nascere dal cilindro partiti e «popoli»).
Oggi siamo circondati e soverchiati da artefici magici, ma sembriamo noi i più desiderosi di essere gabbati e di applaudire. Vedere il terzetto di Sik Sik Cecchi, sua moglie Angelica Ippolito valletta e vittima, e Roberto De Francesco apprendista imbroglione, tutti mostruosamente bravi, fa ridere fino alle lacrime. Che trovano fondamento amaro e ulteriore appena uno ci ripensa, e realizza che quell'illusionismo facile è divenuto governo del mondo, o almeno del nostro paese.
Dopo il grande successo ottenuto al Valle, lo spettacolo è ancora oggi a Prato al Fabbricone, e sabato e domenica prossimi al Torbellamonaca di Roma.

Gianfranco Capitta

Carlo Cecchi, l' incantatore

Ancora cantiere, si è aperta per pochi giorni a Milano la nuova, bellissima sala del Franco Parenti, per fare teatro parlando di teatro, per auspicare con un autore come Thomas Bernhard la morte della musealità, del conformismo intellettuale e artistico, per augurare un nuovo che sia veramente tale e al tempo stesso per far rivivere con Eduardo De Filippo lo ieri attraverso quella patina di «guittesca» verità che porta con sé il mestiere dell' attore. Officiante di questo rito è un grande Carlo Cecchi, disincantato incantatore, che ha accostato genialmente due atti unici Claus Peymann compra un paio di pantaloni e viene a mangiare con me di Bernhard e Sik Sik, l' artefice magico di Eduardo. E' l' incontro di due realismi amari, di due nichilismi che in Eduardo trova, però, un limite di indulgenza e pietà. Da una parte l' ironia tagliente di Bernhard fa a brandelli, in un procedere per brevi folgoranti scene, il mondo del teatro e della cultura nella sua odiata Austria, e dall' altra l' abiezione senza possibilità di riscatto di Sik Sik trova la sua grandezza proprio nella cialtroneria, nel credere e dover credere nell' inganno della scena, nel non «avvilirsi mai» di fronte alla catastrofe del suo spettacolo di povere illusioni mandato a monte da un compare maldestro. L' intelligenza interpretativa e registica di Cecchi offre una lettura straordinariamente viva e divertente, beffarda e sbeffeggiante di Bernhard che trova il suo apice nella lunga disquisizione sulla bellezza dei propri pantaloni messa a confronto con la realtà del teatro e della cultura austriaca, risolta con una significativa passeggiata in tondo in una scena che è sempre e solo segnata dalla affascinanti suggestioni pittoriche di Titina Maselli. Nel Bernhard di Cecchi c' è la grandezza beckettiana del quotidiano che si fa metafora, un ossessività scespiriana e un «guittume» che si fa arte. Bravissimo in Bernhard al fianco dello strepitoso Cecchi, è Elia Schilton, impegnato in più ruoli, mai grottesco, mai caricaturale ma sempre vero sia quando è perso nei pensieri non pensieri nel personaggio dell' Autore e del Direttore sia in quelli surrealmente organizzativi della segretaria. Bravi anche in Sik Sik, la super straniata Angelica Ippolito, Roberto De Francesco e Diego Sepe.

Magda Poli

Carlo Cecchi si fa in due per Bernhard e De Filippo

Teatro comico? Anche. Teatro sociale? Forse. Teatro? Senz'altro. Cioè un regalo, al Valle fino a domani, certo legato a due testi e a due autori (Claus Peymann compra un paio di pantaloni e viene a mangiare con me di Thomas Bernhard e Sik Sik, l'artefice magico di Eduardo De Filippo), ma frutto, in particolare, di un interprete come Carlo Cecchi, affiancato prima da Elia Schilton, quindi, in De Filippo, da Angelica Ippolito, Roberto De Francesco, Diego Sepe. Nel "dramoletto" bernhardiano Cecchi restituisce, con accenti sudisti più che teutonici, la dissacrazione e gli sminuzzamenti, le riflessioni umoristiche e gli strali al cianuro di una penna capace di ritrarre criticamente, con poche frasi, un certo ambiente teatrale e i suoi personaggi. Ancora il teatro è al centro di Sik Sik, cavallo di battaglia di Eduardo, elegia minima alla quale Cecchi dedica una lettura solo all'apparenza "dialettale", in realtà mista di poesia del gesto, sonorità partenopee e preziosismi in italiano. Ma, soprattutto, l'anima giusta, la tinta segreta che rende vivo e vero non l'autore-attore, cui pure l'atto unico è indissolubilmente legato, quanto il personaggio in sé, l'illusionista guitto frequentatore dei palcoscenici di infimo ordine che si dedica a povere, spennacchiate alchimìe.

R.S.

Un Carlo Cecchi impressionante

Con uno di quei colpi di genio che gli sono tipici, Carlo Cecchi ha riunito per lo Stabile dello Marche due testi del suo repertorio con l’effetto di mutarne e arricchirne il senso nel confronto. Si tratta di due atti unici sul teatro visto da poli opposti da due grandi autori diversissimi quali Eduardo De Filippo e Thomas Bernhard. Del primo torna l’esecuzione povera e folgorante di Sik-Sik, l’artefice magico, capolavoro chapliniano dove un illusionista da strapazzo si misura con le difficoltà di linguaggio e d’azione del compare inetto scelto per ingannare il pubblico, in un mirabile squarcio di teatro all’improvviso. E a questo si contrappone in Claus Peymann… una derisione della scena più pretenziosamente intellettuale dove il regista del titolo, primo artefice delle glorie dell’autore, si esibisce in cambi di sede surreali sfogando le proprie ambizioni preso da una volontà di potere che lo contrappone al suo interprete, un Cecchi impressionante per ritmi e inventiva accanto qui a Elia Schilton, bravissimo anche nei panni della segretaria, nelle scene ritrovate di Titina Maselli, favolistiche e piene di colori.

Franco Quadri

Cecchi contro Cecchi

Più che teatro nel teatro è il teatro sul teatro il collante dei due atti unici con cui Carlo Cecchi ha da poche settimane intrapreso una nuova sfida: unire in una sola serata Claus Peymann compra un paio di pantaloni e viene a mangiare con me di Thomas Bernhard e Sik Sik l'artefice magico di Eduardo De Filippo, specchi di due mondi apparentemente contrapposti da cui si riflette tanta ironia, ma anche tanta malinconia.

Tra i primi in Italia ad aver contribuito a far conoscere la prosa dello scrittore austriaco, Cecchi, qui attore e regista, torna a misurarsi con i "Dramoletti" come li chiama lo stesso Bernhard. Si tratta di tre brevi farse in cui il mondo del teatro è bersaglio di una ossessiva e tagliente analisi con forti accenni di autoironia. Nel primo sketch è mezzanotte, siamo nella direzione del Teatro di Bochum. In previsone del trasferimento a Vienna, dove diventerà direttore artistico del Burgtheater, il teatro nazionale austriaco, il regista Peymann dà ordini alla sua fidata segretaria Chiristiane Schneider (uno straordinario Elia Schilton). La valigia al centro della scena è abbastanza capiente senza però riuscire a contenere tutto. La preparazione offre l'occasione per una disquisizione acida e cinica su quali copioni, attori, e perfino quali critici ("solo quelli che parlano bene") sia meglio portare con sé. Nella scena successiva sono le undici di mattina. Peymann e la segretaria sono appena arrivati nella stanza della direzione del Burgtheater. Con malcelato orrore la segretaria scopre che durante il viaggio alcuni attori sono deceduti, altri congelati e i loro copioni di colpo invecchiati di dieci anni. Peymann non si stupisce perché "il teatro è un processo letale: chi non invecchia così in fretta come i drammaturghi contemporanei?".

La seconda farsa, quella che dà il titolo al trittico, vede il regista passeggiare con lo stesso Bernhard (sempre Elia Schilton) per le strade di Vienna, tra vetrine calate dall'alto, disegnate con estremo gusto e sintesi da Titina Maselli. Il giudizio su Vienna e gli austriaci non è cambiato nonostante la sua permanenza. Andare a provare un paio di pantaloni gli procura altrettanta gioia e tensione quanto provare Shakespeare, per cui di Vienna meglio non perdersi l'ottimo bollito di manzo.

Nella farsa finale Peymann e Hermann Beil (ancora una volta Schilton), direttore organizzativo del teatro, sono seduti in collina ed è come se si sfidassero in un duello di parole, accentuato dai movimenti oscillatori della panca su cui sono seduti, che diventa una sorta di bilancia per il peso delle loro elucubrazioni. Peymann, ormai vittima di una irrefrenabile megalomania, è convinto che solo il suo rivoluzionario progetto possa salvare il teatro: mettere in scena in una sola serata tutto Shakespeare, compresi i sonetti, in uno spettacolo che duri al massimo cinque ore. Beil, sempre più impassibile, lo asseconda con uno snervante: "Naturale!".

Nel trittico il mondo del teatro non è visto attraverso il buco della serratura; la porta viene sfondata con violenza. Si osserva con acutezza ma non arrivano risposte, anzi vengono aggiunte domande con l'intento di focalizzare in chiave ironico-grottesca le contraddizioni di questo mondo.

Dal Nord si passa al Sud con uno dei lavori giovanili più fortunati di De Filippo, nonché il personaggio con cui il drammaturgo, ormai maschera terribilmente tragica, volle salutare il suo pubblico dopo cinquanta anni di carriera. Sik Sik è un povero commediante costretto a ricorrere ad un complice tra il pubblico per rendere credibili le sue maldestre magie. Una sera Nicola, il suo compare, tarda e "l'artefice magico" prova a sostituirlo con il primo che passa. Il ripresentarsi di Nicola poco prima dell'inizio della performance farà sì che l'esibizione finisca in disastro, trascinando il pubblico in una esilarante comicità. Ma la caparbietà di Sik Sik lo porta a non scomporsi, facendo così serpeggiare il dramma del personaggio che si unisce a quello dell'uomo. Sik Sik, in napoletano secco secco, è un chiaro rimando alla persona di Eduardo. Carlo Cecchi interiorizza questo connotato fisico nell'asciuttezza misurata del gesto dando un giusto peso all'equilibrio linguistico tra napoletano e italiano con inevitabili effetti comici dovuti alle storpiature del linguaggio che vanno da banali allusioni a drammatiche sottolineature. Un cast di bravi attori gli fanno da spalla. Angelica Ippolito supplisce la scarsezza delle battute riservate al personaggio della moglie con una mimica accattivante. Roberto De Francesco è uno sprovveduto Rafele, mentre Diego Sepe disegna un Nicola ancora in rodaggio.
Titina Maselli, (suoi anche i costumi ricostruiti da Barbara Bessi), con pochi elementi scenografici ricrea le giuste suggestioni lasciando agli attori libero spazio, efficacemente sottolineato dalle luci Paolo Vinattieri.

Cosimo Manicone

Carlo Cecchi si sdoppia: classe e ilarità con Eduardo e Bernhard

Dopo aver dedicato le ultime stagioni della sua ricerca ai prediletti Pirandello e Molière da tempo al centro della sua ispirazione di funambolo di classe, che da sempre scorge la fiammella esilarante del riso nel fondo di una ferita dell'anima, ecco Carlo Cecchi alle prese col dittico più anomalo che si possa immaginare. Quello formato da uno «stuck» paradossale del grande solitario Thomas Bernhard e da un vivacissimo apologo del nostro Eduardo. Come dire un'affettuosa liaison, appena incrinata da un nonsense ai limiti dell'assurdo, tra la Mitteleuropa alle prese con lo svecchiamento della tradizione teatrale e l'anima solare di una Napoli pervasa del brivido nostalgico del teatro di piazza. Riassunta nell'inedito Claus Peymann compra un paio di pantaloni e viene a mangiare con me dell'austriaco e nel famoso Sik Sik l'artefice magico della grande anima partenopea.
Dove, nel primo, assistiamo a una disputa tragicomica tra Peymann, uno dei più grandi registi teatrali della nuova Germania appena giunto ai vertici dell'istituzione princeps dell'ex-Austria Felix, il glorioso Burgtheater, e il direttore organizzativo Beil. Che raggiunge l'apice in un parossistico scambio di battute deliranti sferrate come palle da tennis in un torneo dall'esito continuamente rinviato. In cui la nevrosi dell'intellettuale si macera all'ombra dell'incubo ricorrente del denaro finché l'intellettuale della scena non troverà l'interlocutore che gli compete nell'ombra viva dell'autentico autore del testo.
Un Bernhard che, una volta tanto, non parla del ricorrente fantasma del suicidio che sovrasta tutta la sua opera. Mentre, a fantastico contraltare, ecco nella seconda parte affacciarsi l'Eduardo anni Trenta che celebra nei fatti e ricrea nel favoloso spirito del «Cunto de li cunti» del Basile l'epopea degli illusionisti sbrindellati e geniali. Quelli che giocano con colombe vere e finti cassoni ermeticamente chiusi dal cui doppiofondo è destinata ad emergere, se Satana non ci mette lo zampino, la donnina discinta rinchiusa a doppia mandata davanti all'occhio incredulo del popolino. Inutile aggiungere che lo spettacolo è una festa degli occhi e del cuore rallegrata dall'impagabile maschera, tra melliflua e insinuante di Elia Schilton e dell'alto manierismo di Angelica Ippolito.

Enrico Groppali

Cecchi vola tra Eduardo e Bernhard
Intensa duplice prova al teatro Parenti di Milano dell'attore e regista in Sik Sik, l'artefice magico e in Peymann

Che attore straordinario ­ Carlo Cecchi, protagonista tra i più atipici e personali della nostra scena. Un artista la cui acuta intelligenza e consapevolezza producono uno stile di recitazione distaccato, defilato, tormentato, ironi co, straniato, che cela la nostalgia di un teatro che già fu coscienza critica della società. Da qualche anno non lo incontravamo ed eccolo, a sorpresa, in gran forma a comparire, con un gesto augurale, al milanese Franco Parenti nella rinnovata, ma solo provvisoriamente aperta, ­sala grandementre nel vasto cantiere i lavori di restauro fervono.
Si cimenta, il fiorentino Carlo Cecchi, in due atti unici che sono due piccoli gioielli. Due pièces in apparenza discordanti, ma che in realtà sono entrambe una riflessione sul mondo del teatro: Sik Sik l'artefice magico di Eduardo De Filippo e Claus Peymann compra un paio di pantaloni e viene a mangiare con me di Thomas Bernhard. Vale a dire, la grande tradizione italiana combinata con la modernità di un autore che, con una struttura linguistica particolarissima, riesce a rendere il tragicomico sublime.
E' perfetto Cecchi nell'atto eduardiano dove il tema della magia si lega a quello del vivere quotidiano. La magia non come illusione, ma come pratica di vita. Mette in mostra tutta la buffoneria del vecchio caffè-concerto, la maschera della grande commedia grottesca, lo smarrimento del povero diavolo, la risatina feroce e disperata.
Ma è ­altrettanto magnifico nel profondere un'ironia che non conosce confini, Cecchi in Peyman, cioè uno di quei 'dramoletti', come l'autore austriaco ebbe a chiamare un trittico che è ­tra le sue cose forse più radicali. In apparenza, una serie di semplici sketches e battute, ma che invece, saldandosi sapientemente insieme, scaraventano in scena, attraverso la figura del celebre regista e direttore viennese del Burgtheater Claus Peymann, una satira dura e spietata sul mondo del teatro e non solo. Una grande lezione di arte scenica quella che ancora una volta arriva da Cecchi, al cui seguito sta una picco la corte di attori di altissima professionalità. A cominciare da Angelica Ippolito e da Elia Schilton che, con una naturalezza sorprendente, interpreta una piccola straordinaria galleria di personaggi secondari. Dopo Milano, lo spettacolo (prodotto dallo Stabile delle Marche) arrivera Roma, al Teatro Valle, dal 6 novembre.

Domenico Rigotti

Ultima modifica il Lunedì, 12 Agosto 2013 09:23

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