di Harold Pinter
traduzione di Alessandra Serra
regia di Salvatore Tramacere
con Angela De Gaetano, Maria Rosaria Ponzetta, Fabrizio Pugliese, Fabrizio Saccomanno
scene, luci e suono di Lucio Diana e Salvatore Tramacere
Lecce, Cantieri teatrali Koreja 2007
«Il Calapranzi» di Harold Pinter allestito dai Cantieri teatrali Koreja a Lecce
Paradossi quotidiani consumati in uno scantinato
Lecce
Ci sono commedie che in pochi decenni sono entrate con il loro autore tra i «classici» seppur contemporanei. Uno di questi è ovviamente Harold Pinter, consacrato due anni fa dal premio Nobel, e il suo Calapranzi che da cinquant'anni è molto rappresentato e «reinventato» dalle personalità attoriali più diverse, da Paolo Rossi che lo fece, esplosivo, ai suoi esordi, a John Travolta che ne ha interpretato una versione filmata da Altman.
Con la sua vaghezza e la sua pericolosità, oltre alla comicità incomprimibile, il testo inquieta e sconcerta oggi più che alla fine degli anni cinquanta. La vicenda dei due svagati dropout chiusi in un scatinato, con l'unico collegamento al mondo superiore assicurato appunto da un calapranzi, sono già una situazione a rischio. Per di più, in quel sotterraneo scalcinato, quell'aggeggio implacabile porta ordini di piatti da servire come indicazioni per delitti da compiere. Il paradosso contemporaneo della minaccia e dell'ambiguità di ogni apparenza c'è già tutto.
Nella nuova versione che per i Cantieri teatrali Koreja ne ha approntato ora Salvatore Tramacere, Il calapranzi (il 4 e il 5 luglio a Inequilibrio Festival di Castiglioncello) raddoppia i suoi duelli tra perdenti, per genere e numero di contendenti. Prima sono due donne, una tosta e una fatale, che si confrontano e si scontrano tra le minacce che subiscono e quelle che dovrebbero arrecare. Le vediamo dietro una parete a specchio, in un parallelepipedo claustrofobico che evoca anche una certa prigione alla Genet (che non a caso fu accomunato col primo Pinter da Martin Ensslin nel suo fondamentale quanto errato Teatro dell'assurdo), mentre si curano e si scuriscono, fino a essere tanto dark da sfiorare il sadomaso. Ma alla fatidica domanda sull'oggetto delle proprie mire (balistico/omicide), «a chi toccherà stasera?», risponde l'accendersi della platea che mostra al pubblico se stesso riflesso in quel sipario a specchio.
Si cambia rapidamente ambiente, come in cerca di altre possibili vittime, e ci si affaccia su un'altra scatola soffocante (e tormentata pure dallo sciacquone del water) dove sono due uomini a riprendere il percorso delle divagazioni pinteriane sulla vita là sotto e gli strani ordini che arrivano da sopra, anche se è un secchione d'alluminio a calare e alzare le improbabili comande: pasticcio di maccheroni alla greca o «due brasati e due the, senza zucchero». Il salto però è soprattutto linguistico, perché i due ruspanti sicari si esprimono nei loro dialetti originari, il calabrese e il pugliese. Aumentando il senso di inadeguatezza alle pressioni ed esigenze «superiori», ma anche la comicità della paradossale situazione. E se viene alla mente la riscrittura fremente che questo stesso testo aveva prodotto nel Nunzio messinese di Spiro Scimone, o anche le «ritraduzioni» di Cauteruccio, torna anche alla memoria che lo stesso Pinter ammette che le sue due creature abbiano antichi antenati nel racconto The Killers, uno dei 49 di Hemingway.
Qui, questo affollarsi di suggestioni della regia sulla scarna e sospesa verbalità di Pinter, l'arricchisce di evocazioni fisiche che assai ce l'avvicinano, facendo da detonatore alla infelicità di Ben e Gus più che alle loro improbabili pistole. Grazie anche alla generosità delle due coppie di interpreti (Angela De Gaetano e Maria Rosaria Ponzetta, Fabrizio Pugliese e Fabrizio Saccomanno) che solo nei ringraziamenti si riuniscono sulla scena.
Gianfranco Capitta