di Federico Garcia Lorca
regia e riduzione: Antonio Dìaz-Floriàn
scenografia: David Léon
ideazione costumi: Abel Alba
interpreti: Giorgia Cerruti, Luisa Accornero, Raffaella Tomellini, Valeria Dafarra, Alessia Spinelli, Viren Beltramo, Cecilia Romeri
Cortemilia.
Coproduzione: Piccola Compagnia della Magnolia e Theatre de l’Epeé de Bois - Cartoucherie 2007
La messa in scena di un testo consolidato può, a volte, far scoprire la possibilità di letture impreviste, far emergere vene sotterranee. È quanto ha fatto la Piccola Compagnia della Magnolia, con un allestimento che esalta quel registro grottesco, certo implicito nella scrittura di Lorca, ma specialmente connaturato alla cultura spagnola, da Goya fino a Buñuel. Il grottesco diviene così il colore dominante di questo dramma estremo e quasi profetico (nel quale è forse anche leggibile una metafora delle atrocità della guerra civile), l’ultimo scritto dal poeta prima di andare incontro ad una morte crudele.
È interessante notare come Lorca, proprio perché diverso, e forse per questo libero dagli stereotipi imperanti del maschile e del femminile, sia capace di restituirci con impressionante efficacia di tratto un universo abitato da sole donne, dove il maschio è una presenza esterna, ma incombente ed ossessiva. Per esaltare le feroci dinamiche che governano il mostruoso microcosmo familiare di Bernarda Alba, il regista Diaz-Florian, un peruviano trapiantato in Francia, ma visibilmente intriso di cultura ispanica, dopo aver trasformato quelle donne in nane deformi (obbligando le attrici a camminare faticosamente sulle ginocchia), compone e scompone una serie continua di tableau vivent, con evidente riferimento alle iconografie di Velasquez e di Goya, sia nei costumi e nelle acconciature, sia nella scenografia, costituita da tre candelieri di ferro e da una grata di legno, trasparente allusione ad una clausura monastica.
La recitazione, che pur lascia emergere a tratti i lacerti di quel lirismo surrealista che permea la scrittura di Lorca, è connotata da una cifra espressionistica, ribadita dal trucco bianco dei visi, quasi maschere, a volte segnati da una scostante rete di rughe nere, che esasperano qualsiasi suggestione realistica. All’interno di una impostazione registica che sembra anch’essa sgorgare dagli inquietanti neri e ocre della pittura spagnola, la serva Poncia, interpretata dalla bravissima Giorgia Cerruti, svolge il ruolo di personaggio coro, mentre le cinque figlie, deformi pulcini con impennate di passione repressa e di ferocia, si muovono, ad un tempo sottomesse e riottose, sotto le ali (e il bastone) di Bernarda Alba, resa con autorevolezza da Luisa Accornero. Ma lo spettacolo funziona soprattutto grazie l’affiatamento dell’insieme, di una compagna giovane ma già agguerrita, che varrà la pena di tenere d’occhio.
Claudio Facchinelli