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HOTEL BORGES - regia Giorgia Cerruti

Davide Giglio in "Hotel Borges", regia Giorgia Cerruti. Foto Karen Righi Davide Giglio in "Hotel Borges", regia Giorgia Cerruti. Foto Karen Righi

regia di Giorgia Cerruti 
drammaturgia di Giorgia Cerruti
con Davide Giglio
produzione Piccola Compagnia della Magnolia
OFF Topic, Torino, martedì 20 febbraio 2024

www.Sipario.it, 18 febbraio 2024

Il ruolo del critico è talvolta messo a dura prova quando lo spettacolo è capace di scardinare schemi predefiniti entrando “a gamba tesa” sulla sensibilità dello spettatore cui è richiedesto un reset delle consolidate modalità di giudizio: è il caso di Hotel Borges che la Piccola Compagnia della Magnolia ha proposto per la tre giorni torinese, andata in scena negli spazi di OFF Topic, nella forma di inedito bignami di un’arte recitativa prossima ad incontrarsi con una scrittura dai toni volutamente irregolari.

Più che di incontro è corretto parlare di scontro tra la recitazione dell’ottimo Davide Giglio e la drammaturgia, nervosa ed in apparenza rapsodica, di una Giorgia Cerruti attenta a non imprigionare la scrittura in schemi convenzionali: cinquantacinque minuti attraversati da un pirandelliano caos con il giovane Fortunello, neo maggiorenne confinato in una cantina rifugio, riferire della grottesca quotidianità scandita dal sogno di diventare concierge in un grande albergo. Con in testa conficcata una pietra d’oro, che proprio nel giorno del passaggio alla maggiore età “il mondo di fuori” vorrebbe estrargli, Fortunello vive recluso nel suo ”mondo di dentro” sognando di abitare stanze e sale di un albergo dagli indefiniti contorni, spazio della mente più che luogo fisico dove dar forma e far vivere paure come progetti, sogni come tabù, in una parola sola la gioia di vivere.

Parole e flussi di pensieri accompagnano il racconto del protagonista, dichiarato omaggio all’arte di quell’Ettore Petrolini cui l’applaudito Giglio si ispira, senza mai con intelligenza cadere nel tentativo dell’impossibile imitazione, in un monologo che è innanzitutto inno alla vita e manifesto di una pulsione alla continua ricerca di spazi e identità a fatica definibili nell’agire quotidiano: e se di nervosismo si parla per la scrittura ciò lo si deve ad una drammaturgia sempre attenta a non ancorarsi allo spazio scenico, semmai a galleggiare per aria alla ricerca di invisibili appigli, elemento etereo che Giglio respira a pieni polmoni per poi tradurre in scena in gesti ed azioni all’interno di un rettangolo delimitato da un tappeto di nuda terra.

Come di prassi nei lavori del collettivo torinese il testo è ricco di contaminazioni autorali, dal Borges del titolo al già citato Petrolini, passando per pillole felliniane o del sempre attuale Sgorbani, tessere di un prezioso e colorato mosaico che con il suo apparente non sense spiazza lo spettatore, e quindi anche il critico, salvo poi farsi apprezzare a lento rilascio come depositario di suggestioni ed immagini figlie di un’onirica interpretazione della realtà: da analizzare e rivedere a mente fredda, Hotel Borges è un artistico salto nel vuoto senza rete con il teatro per una volta non impiegato nel racconto di una storia, semmai come interprete della vita, disegnando uno spazio indefinito che ogni spettatore può riempire a piacimento affidandosi al proprio intoccabile vissuto, o al sempre inscalfibile potere della fantasia.

Roberto Canavesi

Ultima modifica il Sabato, 24 Febbraio 2024 18:04

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