di Nikolaj Gogol
adattamento Leo Muscato
con Rocco Papaleo e con (in o. a) Elena Aimone, Giulio Baraldi, Letizia Bravi, Marco Brinzi, Michele Cipriani, Salvatore Cutrì, Marta Dalla Via, Gennaro Di Biase, Marco Gobetti, Daniele Marmi, Michele Schiano di Cola e Marco Vergani
scene Andrea Belli
costumi Margherita Baldoni
musiche originali Andrea Chenna
luci Alessandro Verazzi
regia Leo Muscato
produzione Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale e Teatro Stabile del Veneto – Teatro Nazionale
Venezia, teatro Goldoni, 22, 23, 24, 25 febbraio 2024
Può un solo essere umano, funzionario di stato, impegnato in una visita a un apparato governativo di una cittadina per l’esattezza,(lui, tra l’altro non si vede mai) originare scompiglio in quella comunità ,immersa nel suo tran tran quotidiano fatto di sollazzi e abbandoni, corruzioni e bricconate varie? Certamente sì, in quanto l’ispettore che viene annunciato agli altri, mi si passi il termine, villanzoni, giunge del tutto inaspettato. Generando confusione, terrore, grandi dubbi e spaventi per le cialtronate che, se scoperte, metterebbero in moto la giustizia, cosa da cui quella comunità si guarda bene, e chi più ne ha più ne metta: tutto è dunque generato a partire da quell’istante, mettendo in moto un totale, crescente intento di abbordarlo per corrompere anche lo stesso, cosa a cui lo sconosciuto giunto nel glaciale paese non si tira certo indietro. Così tutto sembra si possa sistemare in qualche modo. Come pare si possa continuare una sopravvivenza beata e immorale, marcia e godereccia alla faccia della giustizia. E’ quel che succede nella commedia gogoliana L’ispettore generale, dall’autore scritta nel 1836 vista allo storico teatro Goldoni di Venezia pochi giorni fa. Rappresentata in toto è una burocratica macchina che va tutto sommato a discapito del cittadino onesto che si fida dei soliti noti che comandano (come una volta nei paesi si vociferava del dottore, del prete e del sindaco). Un cittadino ingenuo che non sa di subire gli svantaggi ad essa collegata, dove un potere becero gongola. Gogol scrive di una società da lui vissuta che in quel tempo era di sicuro la più corrotta, ma ci vuol poco per capire l’attualità della commedia ancor oggi, in società e mondi che si replicano uguali. Testo godibilissimo che va in crescendo, L’Ispettore generale declina i personaggi in modo mirabile e li ridicolizza. Oggi siamo abituati alla satira, quella pura e diretta che fa le stesse cose di allora ma in quegli anni, in quei luoghi e contesti c’era un rischio elevato. Fulcro della vicenda, che pure è corale in una costruzione del testo molto interessante, è il Podestà di Rocco Papaleo che col suo incedere, da ottimo attore qual è, illustra il lumacone personaggio, attorniato da altri suoi simili tutti discutibili e pronti solo a trovare il meglio per se stessi appunto a discapito dei più deboli. Il suo Podestà giostra i suoi concittadini, attento a non incorrere in errori che possano compromettere la sua carriera. E qui ci prova anche con l’ausilio della moglie e della figlia (un’efficace Letizia Bravi), che il funzionario apparente provano anche a circuirlo. Per non parlare degli altri loro simili, ognuno caratterizzato nel suo misero fulgore di provincia, a partire dal Sovrintendente opere pie (ottimo Gennaro Di Biase), all’ufficiale postale ben disegnato da Marco Brinzi. Cosicchè si cerca con tutte le forze di portare sempre avanti soprusi e imbrogli, addolcendo il funzionario, in realtà un Chlestakov qualunquisticamente gaglioffo, interpretato da Daniele Marmi perfettamente adeguato al ruolo, che infatti sta al gioco ed economicamente in poche ore riesce a sistemarsi, assieme al fido Osip, al quale Giulio Baraldi dà mestizia sagace. Lo spettacolo va in crescendo, si ride, si applaude a scena aperta di fronte a questo piccolo universo folle immerso in una ghiacciaia, così ben espresso dalle scene di Andrea Belli. Farsa raffinata, l’opera di Gogol rende in un certo modo, alla fine, giustizia a chi deve averla. Con l’ultima notizia in agguato, che non rincuora di sicuro, tutt’altro, semmai gela nel gelo tutta la comunità… La danza libera tutti con cui il cast passa tra gli spettatori sottolinea il lato farsesco. Insomma, ridiamoci su, cercando di guardarci da vicino, da dentro, che la vita è quel che è, e di ridere bisogna saperne fare uso. Francesco Bettin