(Libero omaggio a Carlo Goldoni, ispirato al suo Molière, del 1751)
testo e regia: Enzo Moscato
con Enzo Moscato, Valentina Capone, Cristina Donadio, Lalla Esposito, Carlo Guitto, Gino Grossi, Mario Santella, Gianky Moscato, Giuseppe Affinito jr.
scena Paolo Petti
costumi Tata Barbalato, musiche Pasquale Scialò, luci Cesare Accettanto
Benevento, Teatro Comunale 2008
Il teatro elevato all'ennesima potenza è quanto propone Le Doglianze degli Attori a Maschera di Enzo Moscato, esempio di drammaturgia aperta, gioco di masserizie sceniche che entrano a spiazzare con sconcertante creatività lo sguardo dello spettatore a cui non è dato alcun appiglio rassicurante. Inizialmente ciò può infastidire, ma poi quando il voler capire lascia spazio al sentire, Le Doglianze degli Attori a Maschera fa breccia, diverte e inquieta al tempo stesso. Enzo Moscato parte da Il Molière di Carlo Goldoni, testo poco frequentato dell'autore veneziano sull'amore 'incestuoso' di Molière per Armande/Guerrina, figliastra della sua amante storica, l'attrice Bejart. In realtà — pur nella sostanziale fedeltà alla vicenda e alla lingua poetica del testo — Enzo Moscato fa de Il Molière di Goldoni una sorta di terreno di battaglia per un'imprevedibile scrittura d'attore, costruisce un flusso di coscienza del teatro in cui le libere associazioni, le citazioni musicali dal prologo mahleriano, eco da Morte a Venezia di Visconti alle canzoni di Rita Pavone, Nada, Modugno, i Righeira e Gabriella Ferri sono un tutt'uno con la volontà di far esplodere il testo, di giocare per allusioni e disillusioni in uno spazio che si connota come una sorta di "spazio della memoria" sgabuzzino dell'arte, postribolo del teatro in cui ritorna il tormentone: 'Piove , teatro ladro!'. Enzo Moscato è Molière alle prese con le polemiche suscitate dal Tartufo, è il drammaturgo che nel descrivere i suoi caratteri umani ha reso la finzione più vera della realtà e al tempo stesso ha contribuito a oltrepassare la tradizione delle maschere italiane. Goldoni in Molière vede un suo maestro in pectore, Enzo Moscato vede in Goldoni e Molière la nostalgia della maschera e a quella ricorre, una maschera che si nutre di tutti i segni della contemporaneità e che trova nella presenza scenica di Enzo Moscato e di Tata Barbalato, Valentina Capone, Salvatore Chiantone, Cristina Donadio, Lalla Esposito, Gino Grossi, Carlo Guitto, Pasquale Migliore, Salvio Moscato, Mario Santella, Francesco e Gianky Moscato, Giuseppe Affinito jr. un omaggio straziante all'arte dei comici. La nostalgia di quella maschera che per l'attore è difesa e volto di libertà si coglie nella funerea scena finale che lascia l'amaro in bocca. Le Doglianze degli Attori a Maschera — pur in un ridondante amplificarsi un po' compiaciuto — ha mostrato come sempre più ed in particolar modo con Enzo Moscato, il teatro rinunci a narrare per presentare in un piano senza prospettiva dialogica il suo pensiero sul mondo, un pensiero che chiede allo spettatore di farsi interprete personalissimo di quanto accade in scena, nella consapevolezza che una lettura univoca della maschera del mondo non esiste se non limitando la libertà di ognuno.
Nicola Arrigoni
Incontro tra Molière e Goldoni
La commedia di Carlo Goldoni Il Molière, scritta nel 1751 in versi di «due settesillabi uniti alla maniera francese», coniuga le vicende del grande autore legate alla recita del Tartufo, osteggiata da ipocriti benpensanti, con un' atroce burla giocata ad uno di loro, all' amore, in odore di incesto, per Armande la figlia della Bejart, sua amante. Un maestro, Goldoni, che parla di un maestro, Molière, nella riscrittura di un drammaturgo e regista come Enzo Moscato che sfida e al tempo stesso rivitalizza la tradizione mettendo in guardia dagli imbalsamatori che hanno posto i maestri nelle teche di allestimenti senza anima. Ancora una volta Moscato con Le Doglianze degli Attori a Maschera, che ha debuttato alla Biennale di Venezia, dimostra come la tradizione se non smussata dalle sue asperità non sia mai consolatoria, dando vita ad uno spettacolo affascinante che è una sorta di ironica danza di morte per un teatro che, persa la forza di una maschera che copriva sentimenti e allontanava dalla realtà, mette in scena se stesso, la sua umanità, il suo rituale faticoso di verità e scavo nell' anima. Nella suggestiva scena di Paolo Petti, una sorta di palude dei sentimenti, un esterno-interno, salotto-campiello circondato dall' acqua, Molière e la sua compagnia vivono in uno spettacolo che è brioso come un frizzo da Commedia dell' Arte e luttuoso come gli sconfitti, ridicoli, beffeggiati personaggi nati dalla penna dell' autore francese. Tradimento e contaminazione, dei dialetti, delle musiche, dei costumi, sono la forza di questo affascinante spettacolo nel quale Moscato incendia e dà vita nuova al mondo dei «maestri», recuperando la loro ruvida verità presentata allo stato liquido di spettacolo in grado di espandersi, coinvolgere e amplificarsi per far sentire la melanconia del vivere nell' arte che si fa corpo sulla scena. In una vortice di citazioni e rimandi senza mai nulla negare allo spettacolo nel quale persino gli accostamenti di senso più facili si illuminano di vitale ironia, una compagnia di bravi attori, da Mario Santella a Cristina Donadio allo stesso straordinario Moscato, un Molière un po' Misantropo e un po' guitto, un po' officiante e un po' vittima sacrificale, danno voce e corpo a un giocoso e malinconico urlo di libertà.
Magda Poli