di William Shakespeare
traduzione Patrizia Cavalli
regia Carlo Cecchi
con: Carlo Cecchi, Daniela Piperno, Vincenzo Ferrera, Eugenia Costantini, Dario Iubatti, Barbara Ronchi, Remo Stella, Loris Fabiani, Federico Brugnone, Davide Giordano, Rino Marino, Giuliano Scarpinato
Musiche di scena: Nicola Piovani
Musicisti: Luigi Lombardi D'Aquino, Alessandro Pirchio, Federico Occhiodoro.
Scena: Sergio Tramonti. Costumi: Nanà Cecchi. Disegno luci: Paolo Manti
Produzione Teatro Franco Parenti /Marche Teatro
Milano, Teatro Franco Parenti, dal 26 febbraio al 6 marzo 2016
Roma, Teatro Eliseo, dall'8 al 20 marzo 2016
ROMA - «Non ho mai amato, il medico me l'ha proibito». «Il casino che riescono a combinare certi coglioni che s'inguaiano per amore, è roba da non crederci ». Se, a rispettiva distanza di tre e quattro secoli da William Shakespeare, Carlo Collodi e Irvine Welsh ancora sottolineano lo stato di confusione, per non dire follia, emotiva che porta in sé un sentimento come l'amore, ciò conferma la costante attualità della drammaturgia sociologica del Bardo di Stratford, la cui vena d'Albione, ironica e amara insieme, va a toccare i "nervi scoperti" di un genere umano che, troppo normale, non dev'essere stato mai.
La dodicesima notte, è fra le poche commedie shakespeariane che non tocchino la storia o la politica, ma si abbandona, con mirabile tocco poetico, a una storia d'amore, d'inganni e d'equivoci, quasi una parodia psicologica dei "cavalieri, l'arme e gli amori" dell'epica ariostesca.
L'attore e regista Carlo Cecchi ha allestito al Teatro Eliseo la vicenda di Orsino Duca d'Illiria e della Contessa Olivia, con il primo innamorato della donna, ma non corrisposto, al momento, per la volontà di lei di portare per sette anni il lutto, in memoria del fratello da poco scomparso. A niente, sinora, sono valsi gli appassionati appelli del Duca. Per fatalità, una nave naufraga lungo le coste illiriche, e la giovane Viola, perduto nell'incidente il fratello gemello Sebastiano, venuta a conoscenza dell'amore non corrisposto del Duca, si fa assumere al suo servizio come paggio con il nome di Cesario, dopo essersi travestita da uomo. È questa una delle considerazioni di Shakespeare sulla società maschilista dell'epoca, che riconosceva alla donna ben poca autonomia. A complicare la vicenda, interviene il fato, e la Contessa Olivia s'innamora proprio di Cesario, dimenticando poco a poco il suo stretto lutto; le complicazioni non finiscono qui, perché Viola s'innamora del Duca, cui però non può rivelarsi a causa del travestimento maschile che ha assunto.
Questo ménage à trois, che è il primo livello della commedia, è ben retto da Barbara Ronchi nelle vesti della Contessa, Remo Stella in quelle del Duca, e Eugenia Costantini in quelle doppie di Cesario e Viola.
Barbara Ronchi incarna la poesia di Shakespeare nell'eleganza e nella leggiadria della persona, che spicca sul palcoscenico nei raffinati abiti ispirati al Settecento ideati da Nanà Cecchi. A caratterizzare la prova attoriale di Ronchi, una dizione delicata - che rende al meglio la ritmica poetica del testo originale, ben tradotto da Patrizia Cavalli -, e un'adorabile civetteria femminile, che traduce visivamente l'ironia shakespeariana sulla reazione davanti all'amore; infatti, presentandosi la prima volta a Cesario/Viola, è vestita di un severo abito di raso nero, il volto velato in accordo con il suo lutto. Scopertasi attratta dal paggio, escogita un espediente per farlo tornare, e questa volta un nastro rosa adorna l'abito, e il velo è scomparso. Al terzo incontro, la gonna dell'abito è rosa. A ricordarci la volubilità di un animo innamorato. Ma anche l'eroismo cui giunge l'amore femminile, con Olivia che quasi giunge a umiliarsi di fronte all'amato, con una corte a dir poco spassionata.
Struggimenti che il Duca Orsino prova in maniera più fredda, declamatoria, facendo del rifiuto una questione d'orgoglio personale. Remo Stella dà vita a un tormentato uomo shakespeariano, sulla falsariga di Amleto, che fa dell'amore un tormento esistenziale.
Preso in mezzo a questa trama sentimentale, Cesario/Viola, impegnata in delicati equilibrismi per rifiutare l'amore di Olivia, restare fedele a Orsino cercando di convincere la Contessa ad amarlo, e per trattenere il suo proprio impeto verso lo stesso Duca. In questo ruolo caleidoscopico, Eugenia Costantini si muove con agilità, dividendosi fra gli abbandoni femminili, nei momenti di solitudine, e un contegno maschile davanti al Duca e alla Contessa. Metafore del non facile ruolo della donna nell'Inghilterra puritana del XVII Secolo.
In questo gioco di scambi d'identità, Shakespeare gioca con il metateatro, lasciando intendere più volte, per bocca di Olivia e Viola, che la vita stessa sia una commedia, dove si interpretano ruoli diversi a seconda delle circostanze.
A fianco di questa vicenda, legata alla poesia dell'amore, e alla nobiltà dei sentimenti, se ne svolgono altre due di segno opposto, che ampliano la prospettiva delle considerazioni shakespeariane; alla corte della bella Olivia, si muovono bizzarri personaggi dediti al piacere del bicchiere, e a una certa qual vita scapigliata, che ha nella taverna e nella burla i suoi numi tutelari. Sir Toby, zio della Contessa, Sir Andrew, innamorato di questa, Fabian, un servo, cui si aggiunge il buffone Feste, che allieta nobili e plebei con i suoi stornelli carnascialeschi. Anche qui, è l'amore ad agitare le acque, ovvero quello ridicolo e senza speranza di Sir Andrew, cui presta il volto un ispirato Loris Fabiani, che costruisce un personaggio pavido e querulo, che dalla vita preferisce farsi trascinare. Vincenzo Ferrera è invece l'allegro crapulone che fa della burla un mezzo "disimpegnato" per muovere considerazioni sull'esistenza umana, e per questo spinge l'ingenuo Sir Andrew a fare la corte a Olivia. Chiassoso e licenzioso, incarna lo spirito provocatorio e gaudente della puritana Inghilterra di Elisabetta I.
Coscienza critica di quest'allegra brigata, così come dell'umanità in senso lato, il buffone Feste, che alterna stornelli a motti pungenti sulla follia, l'amore, la verità dell'essere umano che assume ora un'identità, ora un'altra. E Dario Iubatti infonde al personaggio la rassegnazione di chi deve fare della follia un'arte, obbligato a dilettare nobili e plebei, con la noiosa possibilità di venire frainteso, essendo i suoi motti scambiati per semplici battute di spirito.
Da un punto di vista drammaturgico, questo scombinato quartetto porta sul palcoscenico una ventata di vivacità e spensieratezza, e certe scene al tavolino, in compagnia del fiasco d'acquavite, ricordano le pitture di genere dei Bentvueghels olandesi nella Roma del Seicento, segno dell'attenzione dedicata dal regista alla ricostruzione delle atmosfere dell'epoca. Regista che appare in scena nelle ambigue vesti del maggiordomo Malvolio della Contessa, astuto e calcolatore, cui lo snobismo e la vanità si ritorcono però contro. Segretamente innamorato di Olivia, cerca di cattivarsene le simpatie dispiegando al suo servizio un inflessibile zelo puritano, sfumato da mille piaggerie; in realtà, a muoverlo verso la Contessa, più che la sua avvenenza, è la sua ricchezza. Cecchi dà vita all'ambiguo maggiordomo recitando, nel primo atto, a voce bassa e scandendo poco accuratamente le parole, un espediente che se può aver creato qualche difficoltà agli spettatori più lontani, si spiega però con la necessità di rappresentare la psicologia di un personaggio abituato a muoversi per sotterfugi, delazioni, compromessi, e particolarmente inviso a Sir Toby e compagni. Per questo, decidono, con la complicità di Maria, cameriera personale della Contessa, di recapitargli una falsa lettera di lei, per indurlo a credere che ricambi la sua passione. Caduto nell'inganno, Cecchi trasforma il sussiegoso maggiordomo in uno sciocco tronfio e fatuo, che incede sul palcoscenico a passi ridicolmente contenuti. Creduto folle, sarà momentaneamente rinchiuso in prigione.
A dirimere i nodi di questi amori che sembrano aver imboccate direzioni sbagliate, l'ennesimo intromettersi del fato; Sebastiano, che Viola credeva disperso in mare, arriva in città, aiutato dal fidato amico Antonio. Per coincidenza, s'imbatte nella Contessa, della quale, pur non capendo bene la situazione, accetta di ricambiare l'amore. Si scatena quindi un intricato meccanismo di equivoci e bizzarrie giocato sullo scambio d'identità, un macchinario teatrale imperniato sulla volubilità dell'animo umano, le sue perfidie e i suoi slanci di lealtà. Alla fine, Olivia può unirsi a Sebastiano, mentre il Duca, scoperta l'identità di Viola, commosso dal suo devoto amore per lui, accetta di sposarla. In mezzo, il comico duello fra Viola/Cesario e Sir Andrew, orchestrato dallo scapigliato Sir Tobin, e la pietosa vicenda di Malvolio, che riesce a dimostrare di non essere folle - dando in lettura a Olivia la falsa lettera -, al prezzo però di essere stato pesantemente messo in ridicolo.
A margine del lieto fine, con il trionfo dell'amore, Shakespeare lascia in sospeso una questione che all'epoca dové stupire più di uno spettatore; e cioè, l'insinuata omosessualità di Antonio, la cui devozione per Sebastiano può essere letta come una continua dichiarazione d'amore.
In questa vivace commedia, diretta da Cecchi con maestria e fedeltà al testo originale, Shakespeare discetta sulla follia dell'amore inserita però nella più ampia follia dell'umanità. In quest'ottica, cos'è l'amore? Trasporto del cuore, sogno della mente, occasione di compiere grandi gesti e di rendersi ridicoli, nel Seicento come nel Duemila.
Niccolò Lucarelli
Carlo Cecchi firma la regia di questa commedia degli equivoci, considerata dalla critica come una delle migliori fra quelle scritte dal celebre autore inglese.
Ambientata nell'antica regione balcanica dell'Illiria, narra una storia di amori e inganni, in cui i gemelli Viola e Sebastian, a causa di un naufragio, si imbattono nella conoscenza del Duca Orsino e della dama Olivia. Orsino è innamorato di Olivia, che ne ignora la corte. Olivia a sua volta, è innamorata della giovane Viola, che dopo la perdita del fratello, si è camuffata da uomo per entrare al servizio del Duca di cui è invaghita, scatenando una serie di eventi e imprevisti. All'interno di questo nucleo drammaturgico, principale, una sottotrama vede protagonisti i personaggi che gravitano attorno alla corte di Olivia: il giullare Feste, il maggiordomo Malvolio, la cameriera Maria, lo zio Sir Toby, il servo Fabian e Sir Andrew Auguecheek. Tutti insieme falsificano una lettera, per illudere Malvolio di essere desiderato dalla padrona Olivia. Alla fine, il destino dei diversi personaggi ha esiti diversi: i due gemelli si ritrovano felicemente, svelando la loro vera identità, Orsino chiede in sposa Viola, Olivia promette amore fraterno alla giovane ragazza e Malvolio, invece, dopo aver scoperto il trucco ai suoi danni, esce di scena disilluso, promettendo vendetta.
La versione "cecchiana" della Dodicesima Notte, cala il racconto all'interno di una scenografia essenziale, dove al vuoto scenico, fanno da contraltare e risaltano le vicende umane dei personaggi che hanno il sapore della commedia, anche se, quelle di alcuni di loro, con un retrogusto comico e tragicomico; le vicende di Orsino e Olivia, intrecciate a quelle di Viola e Sebastian, corrono più sui binari di una commedia in rosa a lieto fine; i personaggi che traggono un tranello a Malvolio sono buffoni e a tratti clowneschi. Le esistenze infelici del giullare Feste e di Malvolio suscitano un riso amaro, accentuato dai costumi colorati e farseschi. Sono loro i veri perdenti e, non a caso, la scena in cui si ritrovano a dialogare, con Feste che sente le richieste invane di Malvolio attraverso una botola, è al buio, quasi a caratterizzare le anime perse che li accomunano.
La regia sobria di Cecchi "accarezza" la messinscena, quasi non volesse lasciare il segno, offrendo campo aperto al testo shakespeariano con il peso delle sue parole, interpretato da un cast di giovani attori e dall'autorevolezza attoriale di Cecchi, con un gioco colorato di intonazioni, dove non sempre, però, trova spazio l'emozione e la verità umana. Il tutto impreziosito dalle musiche raffinate di Nicola Piovani, suonate da un'orchestrina divisa e nascosta sui lati del palcoscenico, dai costumi che richiamano precisamente quel periodo storico e dalle canzoni intonate da Feste, preludio alla fine cupa di questa commedia, accolta, nel finale, da un applauso prolungato del pubblico.
Andrea Pietrantoni