domenica, 01 settembre, 2024
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FEDRA - regia Paul Curran

"Fedra", regia Paul Curran "Fedra", regia Paul Curran

Ippolito portatore di corona di Euripide
Traduzione di Nicola Crocetti
Regia di Paul Curran
Assistente alla regia: Michele Dell’Utri
Scene e costumi: Gary McCann
Assistente scenografo: Gloria Bolchini
Assistente costumista: Gabriella Ingram
Direzione del Coro: Francesca Della Monica. Responsabile del coro: Elena Polic Greco
Musiche coro iniziale: Matthew Barnes. Musiche spettacolo: Ernani Maletta
Disegnatore luci: Nicolas Bovey. Video Design: Leandro Summo
Drammaturgo: Francesco Morosi. Assistente drammaturgo: Aurora Trovatello
Assistente alla compagnia: Riccardo Rizzo. Direttore di scena: Dario Castro, Eleonora Sabatini
Interpreti: Afrotide: Ilaria Genatiempo. Ippolito: Riccardo Livermore. Un servo: Sergio Mancinelli.
Nutrice: Gaia Aprea. Fedra: Alessandra Salamida. Teseo: Alessandro Albertin. Messaggero: Marcello Gravina.
Artemide: Giovanna Di Rauso. Corifee: Simonetta Cartia, Giada Lorusso, Elena Polic Greco, Maria Grazia Solano.
Coro di donne di Trezene: Valentina Corrao, Aurora Miriam Scala, Maddalena Serratore, Giulia Valentin, Alba Sofia Vella.
Coro dell’Accademia d’Arte del Dramma Antico
Produzione: Fondazione Inda Onlus
Teatro greco di Siracusa dall’11 maggio al 28 giugno 2024

www.Sipario.it, 12 maggio 2024

Questa Fedra di Euripide, non la versione dell’Ippolito velato, andata perdura, ma quella dell’Ippolito portatore di corona, nell’elegante regia di Paul Curran, inizia con la dea Afrotide di Ilaria Genatiempo, con allure e glamour da mannequin, cinta da un corpetto dorato come l’elmo da guerre stellari su una lunga gonna bianca, con spacco vertiginoso che si apre sino all’inguine quando scende gli scaloni del Teatro greco di Siracusa, evidenziando di spalle un lungo strascico di raso pure bianco, guadagnando poi il centro della scena di Gary McCann ( suoi pure i costumi) occupata in  gran parte da una grande impalcatura di tubi innocenti, con gli operai/figuranti in tuta giallo-arancio che vedremo più tardi, nascondendo frontalmente con un lenzuolo il volto di colei che conosceremo poco più avanti. Chiarisce subito Afrotide d’avere il dente avvelenato nei confronti del giovane Ippolito, in odore di misoginia quello di Riccardo Livermore, che preferisce devolvere le sue preghiere non a lei ma alla dea Artemide che da lì a poco, calato quel bianco telone, apparirà in tutto il suo splendore. Il piano di questa perfida dea dell’Amore, sarà quello d’infondere in Fedra un amore sviscerato e malato per il figliastro Ippolito, rendere edotto Teseo, padre di quest’ultimo e causare un patatrac che passerà alla storia. Intanto Ippolito con giacca bianca tutta luccicori e pantaloni d’identico colore, ignaro d’ogni cosa, giunge felice sulla scena, saltellando assieme ad un folto gruppo di fanciulle agghindate con tuniche color pastello e coroncine in testa, sembrando delle “figlie dei fiori” ante litteram, giulive e contente di cantare e ballare in cerchio e rendere omaggi ad Artemide. Ecco adesso apparire in giallo-limone la Fedra di Alessandra Salamida, depressa e incapace di toccare cibo, efficace nell’esprimere la tempesta d’amore che l’ha investita, da non avere il coraggio di confessarlo a nessuno, neppure al Coro delle donne di Trezene di biancovestite con sfumature color glicine, ma  dopo qualche insistenza, soltanto alla sua nutrice, in lungo abito blu scuro quella d’una sempre brava e superba Gaia Aprea, in grado di capire i sentimenti che frullano in quella testolina della sua regina, confusa e sempre più in tilt. È una passione insana, quella di Fedra, che le fa orrore e la spaventa. Da un lato non le pare onesto cedere all’amore del figlio di suo marito, ma dall’altro è tentata a viverlo questo amore. La soluzione che trova più conveniente è quella d’ammazzarsi, anche se la nutrice cerca di confortarla come può, dicendole che potrebbe guarire ingurgitando un filtro d’amore. Ma l’escamotage non interessa a questa donna distrutta e dilaniata, il cui viso appare invecchiato come un puzzle al posto di quello della dea Artemide. E allora la nutrice va da Ippolito e gli rivela l’immenso amore che Fedra prova per lui, facendogli giurare che non rivelerà a nessuno questa terribile verità. Ippolito, abbozzando, la tratta in modo sufficiente, aggiungendo che non ha alcun trasporto per la moglie di suo padre, liquidandola tout court. Da qui Fedra capisce che neanche la morte è in grado di salvare il suo onore e che la sua non sarà una morte d’una donna rassegnata ma d’una donna disperata. E allora sia pure affranta e disfatta, credendo di salvare la sua anima, cercherà di calunniare Ippolito, spinta non tanto da un desiderio di vendetta, ma da un egoismo latente, da una disperazione che la travolge e l’acceca. Così Fedra decide di uccidersi, impiccandosi per la vergogna, non prima di lasciare al marito Teseo una lettera chiusa in un sigillo dove sta scritto che Ippolito l’ha violentata. Una grossa bugia alla quale il Teseo d’un notarile Alessandro Albertin crede ciecamente, senza chiedere conto e ragione al figlio. Si chiude così la tragedia di Fedra e si apre adesso quella di Ippolito, il quale ligio a quel giuramento fatto alla nutrice, non confessa la sua innocenza al padre, il quale tuttavia gli getterà addosso tutte le più tremende maledizioni, ad un tratto puntandogli pure una pistola che non sparerà mai (ma io sapevo da scuola stanislavskijana che se si sfodera un’arma in scena questa ad un tratto dovrà sparare, diamine!) dicendogli d’andare in esilio e che non vuole più vederlo. Si saprà subito dopo, per voce del messaggero di Marcello Gravina, che Ippolito assieme ai suoi cavalli è stato investito da un’enorme onda con le sembianze d’un gigantesco toro, scagliato da Poseidone dietro suggerimento di Afrotide che se la ride bellamente. Si prova umana pietà mista a simpatia per questo giovane, ingenuo e soprattutto innocente e solo la sua morte commuove davvero in quel finale che vede apparire la figura di Artemide, sbucata fuori da quell’enorme volto con le sembianze d’una eterea Giovanna Di Rauso, che proclama l’innocenza di Ippolito, mentre Teseo stringendo il figlio lordato di sangue tra le sue braccia chiede e ottiene il perdono della dea. Sono stati tanti gli scrittori che si sono ispirati alla Fedra di Euripide, in particolare Racine che trovava insopportabile la calunnia di questa eroina della letteratura greca, vera creatura poetica della tragedia che ispira solo commozione. Applausi interminabili da parte d’un pubblico che rasentava le cinquemila unità, un successo per l’Inda e una costante per questo Teatro greco di Siracusa che ogni anno torna a far parlare di sé tutto il mondo. 

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Domenica, 19 Maggio 2024 22:37

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