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GATTARE JUVENTINE (LE) - regia Paride Acacia

"Le Gattare juventine", regia Paride Acacia "Le Gattare juventine", regia Paride Acacia

scritto e diretto da Paride Acacia 

Con Gabriella Cacia e Milena Bartolone
Produzione Compagnia Efremrock con Vaudeville
al Teatro dei Tre Mestieri di Messina 11-12 marzo 2017

www.Sipario.it, 13 marzo 2017

Con Le gattare juventine continua il momento di grazia di Paride Acacia in veste di autore e regista, sancito con i due precedenti lavori Volevo essere brava e Camposanto mon amour. Due i personaggi femminili nella piccola scena del nuovo spazio periferico di Messina di 70 posti appellato Teatro dei Tre Mestieri (dal nome del rione Tremestieri) non distante da quel girone dantesco che è l'attracco marittimo privato di Tir e mezzi pesanti per e da Villa San Giovanni. Due le giovani attrici, agguerrite, brave e molto in palla, tifose della Juventus che si chiamano Gabriella Cacia e Milena Bartolone, nei panni di due sorelle alle prese con le canzoni di Bruce Springsteen la prima, con gatti randagi la seconda misteriosamente spariti dalla loro postazione, assemblando intanto sulla scena barattoli di cibo per felini, speranzosa che un giorno possano ritornare da lei. Una chiara metafora di assenza che fa il paio con quella del padre, morto nello stadio dell'Heysel di Bruxsselles, prima che quella dannata finale di Coppa dei Campioni del 1985 tra la Juve e il Liverpool avesse inizio. A quel tempo le sorelline erano bambine ed era stato il padre ad infondere, in particolare alla Cacia, un amore sfegatato per la Juve, la squadra che tutti i ceti sociali amano e di cui lei snocciola formazioni, date e luoghi delle partite più importanti di campionato e internazionali. Ed è sempre lei la Cacia a rievocare le gesta del padre, magro come lei, che si faceva di eroina e che non poteva essere scomparso così in un non nulla. Trentadue gli italiani morti, dei 39 complessivi, per quella tribuna precipitata addosso a tanti hooligans e tifosi giunti dall'Italia per una partita che non doveva avere inizio e che è stata giocata comunque per motivi di ordine pubblico e commentata da Bruno Pizzul, dispiaciuto e un po' contento come molti, per avere la Juve conquistato per la prima volta l'ambita coppa, purtroppo insanguinata, con un gol di Platini su rigore. Giocatore costui amato dal padre delle due ragazze in grado come Paolo Rossi di fare gol di rapina, definendo Zoff un portiere simile ad un vigile urbano e Boniek un tipo poco simpatico. In quel parapiglia infernale il corpo del padre non si è mai trovato. Di lui si sono perse tracce e notizie. Le due sorelle stentano a credere che il 40° morto possa essere quello del padre. Amava troppo la vita quell'uomo e non poteva essere sparito nel nulla, anche se nella sua testa gli apparivano i fumetti della moglie che trescava col cognato Giorgio. Era troppo al di sopra di queste quisquilie quel padre diventato un mito, mentre echeggiano le musiche rock di Springsteen e si odono le note e le parole del Boss, da Born in the Usa a The River e la sua faccia giovanile appare stampata sul separé di scena, forse con gli stessi tratti di quando si esibiva in un concerto a Milano la stessa sera di quella maledetta partita del'Heysel. Le Gattare juventine diventa così un'elaborazione del lutto, un'assenza ingombrante che lascia uno spiraglio in chiusura di spettacolo, quando si ode un giro di chiavi alla porta e la scena si riempie di miagoli d'ogni sorta. Forse con i gatti è tornato pure il padre.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Martedì, 14 Marzo 2017 10:11

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