di Luigi Pirandello
Regia: Gabriele Lavia pure nel ruolo del mago Cotrone
La Compagnia della Contessa: Federica Di Martino, Clemente Pernarella,
Giovanna Guida, Mauro Mandolini, Lorenzo Terenzi, Gianni De Lellis,
Federico Le Pera, Luca Massaro. Gli Scalognati: Matilde Piana, Ludovica Apollonj Ghetti,
Michele Demaria, Simone Toni, Marìka Pugliatti, Beatrice Ceccherini
I Fantocci: Luca Pedron, Laura Pinato, Francesco Gross, Davide Diamanti,
Debora Rita Iannotta, Sara Pallini, Roberta Catanese, Eleonora Tiberia
I Fantocci (personaggi della Favola del figlio cambiato)
Scene: Alessandro Camera. Costumi: Andrea Viotti
Musiche: Antonio Di Pofi. Luci: Michelangelo Vitullo
Maschere: Elena Bianchini. Coreografie: Adriana Borriello
Produzione: Fondazione Teatro della Toscana, in coproduzione con Teatro Stabile di Torino, Teatro Biondo di Palermo
con il contributo di Regione Sicilia e con il sostegno di ATCL - Associazione Teatrale fra i Comuni del Lazio,
Comune di Montalto di Castro, Comune di Viterbo
Teatro V. Emanuele di Messina dal 1° al 5 febbraio 2020
Credo che d’ora in avanti coloro che vorranno mettere in scena I giganti della montagna di Pirandello dovranno fare i conti con questa nitida ed esaltante edizione di Gabriele Lavia, anche se è doveroso ricordare i due spettacoli di Giorgio Strehler del ‘47 e del ‘67 e quello del ‘93 di Leo De Bernardinis pure nei panni della Contessa Ilse. Colei che incarna la poesia e il Teatro, sempre in crisi ma sempre vivo, pure se Lavia, nella scena di Alessandro Camera, ce lo mostra in macerie, con un ampio squarcio centrale, come quello del Teatro Greco di Taormina, notoriamente affezionato al sito per aver diretto nei primi anni ’90 la sezione prosa di Taormina Arte. Adesso Lavia nel ruolo del mago Cotrone, quasi un mezzo turco con quel fez rosso in testa, calzoni gialli su scarpe verdi con in dosso un giaccone blu (costumi di Andrea Viotti), guida il gruppo degli Scalognati, esseri liberi che si sono staccati dalla società, stazionanti adesso in un Teatro che va a pezzi, con una lignea passerella pericolosa che s’affaccia sugli spettatori della prima fila. Una chiara metafora sullo status in cui il Teatro versa nel nostro paese, alle prese con nuovi disegni di legge, che cambiano a seconda di chi sta al governo, ragionando le teste ministeriali su come e a chi distribuire i contributi sempre insufficienti, da lasciare gli operatori sempre insoddisfatti. Esempio è questo spettacolo che per poterlo produrre con un cast di 23 attori, i responsabili hanno dovuto fare ricorso ad una sfilza di partner che nell’ordine sono: la Fondazione Teatro della Toscana, il Teatro Stabile di Torino, Teatro Biondo di Palermo, la Regione Sicilia con il sostegno di ATCL (l’Associazione Teatrale fra i Comuni del Lazio), il Comune di Montalto di Castro e il Comune di Viterbo. In questo luogo magico che è il Teatro ogni cosa può prendere vita, morire e rinascere ancora. Parole che Cotrone suggerisce alla Compagnia della Contessa capitanata dall’attrice Ilse, che Federica De Martino interpreta in svolazzanti abiti lunghi, con qualcosa di funereo, di fatiscente e con un fascino nordico, una Gloria Swanson quasi sul Viale del tramonto, una diva o ex-diva oltremodo lusingata e orgogliosa che un poeta possa aver scritto per lei un’opera sublime come La favola del figlio cambiato e che per lei si sia suicidato per amore, in barba al marito (Clemente Pernarella) ridotto sul lastrico per poterla rappresentare. Un lavoro che adesso con il caratterista Cromo (Mauro Mandolini), l’attor giovine Sprizzi (Lorenzo Terenzi), e tutto il resto della compagnia vuole portare in giro, non importa in quale Teatro, anche in quel luogo ai confini della realtà, dove Lavia con espressioni, linguaggi e posture sicule da capocomico fa una regia nella regia d’una scheggia della Favola, guidando l’attrice e darle i giusti toni. Ma a parte il metafisico plot dei Giganti, tra l’altro incompiuto, a Lavia è bastato mettere in scena i primi due atti, tralasciando il terzo atto raccontato da Pirandello al figlio Stefano quand’era già malato e tre anni prima della sua morte nel 1936. Un terzo atto che vede Ilse rappresentare il suo dramma nel mondo dei Giganti, dove verrà uccisa sulla scena e il suo corpo portato dai comici tra gli spettatori. Non c’è questo epilogo nello spettacolo di Lavia, c’è invece la poesia del Teatro che si respira in ogni istante, dove il niente è vero e il vero è niente e dove personaggi come Amleto o Antigone possono essere lì sul palco per sempre, soltanto nominando i loro nomi. Uno spettacolo bello da vedere che si conclude con le parole “Io ho paura” pronunciate da Diamante (Giovanna Guida) la seconda donna della Compagnia della Contessa, mentre si odono lontani e poi sempre più vicini e altisonanti i calpestii di eserciti di cavalli al galoppo. Rumori sinistri, pericolosi dei Giganti che avanzano senza mostrare i volti e anche per questo più subdoli e aggressivi. Uno spettacolo corale, un inno alla fantasia e alla magia, con gli Scalognati agghindati da clown in cui si nota la Mara-Mara di Marika Pugliatti con l’ombrellino che rotea, detta pure la Scozzese per via del kilt che indossa; in evidenza la Sgricia di Matilde Piana ( che ha sostituito la povera Nellina Laganà morta di recente) e del miracolo che le ha fatto l’Angelo Centuno; la Maddalena in cinta che fa felici quanti l’avvicinano che danza in platea e poi sul palco; il Nano Quaquèo, Duccio Doccia e Milordino. Bella la composizione degli otto Fantocci con le maschere di Elena Bianchini all’inizio del secondo atto, quasi un’installazione live che si scompone e ricompone. Successo al Teatro Vittorio Emanuele di Messina per Lavia e tutto il cast molto applaudito alla fine. Gigi Giacobbe