di Georges Feydeau
libero adattamento di Roberto Lerici
regia: Francesco Macedonio
scene e costumi: Andrea Stanisci
musiche: Massimiliano Forza
con Antonio Salines, Giorgia Trasselli, Gianluca Guidi
Trieste, Teatro Cristallo, dal 20 aprile al 2 maggio 2007
Commedia del 1888 «Chat en poche», una delle prime di Georges Feydeau, è il ritratto di una società di bugiardi, avidi, presuntuosi, furbi, incapaci di ascoltare il prossimo. Il tutto è tessuto tra arguti giochi di parole.L' ambiguità, i doppi sensi sono le sfumature di questa «partitura per ridere» con morale finale: mai comprare nulla «a scatola chiusa», traduzione del modo di dire del titolo. Perno della vicenda è Pacarel, ricco industriale dello «zucchero per diabetici» che vuole lasciare traccia nella Storia facendo rappresentare un' opera lirica scritta dalla sua sciocca figliola. E per questo pensa di scritturare un giovane e promettente tenore per poi «rivenderlo» all' Opéra in cambio della messinscena del fantomatico capolavoro. Ma Pacarel non si accerta che il giovanotto che suona alla porta sia un tenore e di equivoco in equivoco, tra mogli concupite, dottori tromboni, camerieri villani, lo pseudotenore dà il peggio di sé fino alla catastrofe e all' inevitabile lieto fine. Francesco Macedonio sceglie per la sua modesta messinscena, nell' elaborazione di Roberto Lerici, la strada più facile, quella del riso meccanico, del fare solletico, senza far gustare l' assurdo della realtà. Gli attori si adeguano facendo troppo, come Luca Sandri o Gianfranco Saletta o Giorgia Trasselli o Francesca Bianco. Solo Antonio Salines, protagonista, è bravo nel dare un tocco di modernità recitativa con toni di spaesata verità al personaggio e a impedire che la commedia precipiti del tutto in teatro d' altri tempi.
Magda Poli
Ingegneria teatrale. Un'opera giovanile ma con le audacie del grandi capolavori.
I contemporanei definirono Georges Feydeau (1862 - 1921) un "matematico del teatro" ovvero un "ingegnere della scena", inventore di ingranaggi complicati quanto infallibili - sincronia di porte aperte e chiuse, scambi di persona protratti fino al parossismo. La sua seconda specialità come tutti sanno è di allegro fustigatore dei costumi, soprattutto delle ipocrisie, della borghesia francese del suo tempo. Nessuna di queste due caratteristiche innegabile basta peraltro a spiegare la durata del suo successo, che prosegue ai nostri giorni, quando quella società non esiste più, e di quei meccanismi abbiamo visto tante imitazioni e degradazioni. Il punto è che Feydeau, come i maestri supremi della comincità - Molière, mettiamo; o Chaplin - dà poco spazio a come la creatura umana finge di essere, per mostrarla invece com'è davvero, ossia immancabilmente avida, bugiarda, opportunista, furbastra; i conflitti dei suoi personaggi non sono tra buoni e cattivi, ma tra individua egualmente privi di scrupoli e tesi in tentativi di approfittarsi gli uni degli altri talmente scoperti da diventare ingenui, quindi divertenti. Questo cinismo universale fa la forza degli intrecci più smaccatamente strampalati: accettiamo volentieri le improbabilità della trama, perchè riconosciamo la plausibilità dei comportamenti.
Il gatto in tasca, proposto dalla Contrada di Trieste, in un adattamento di Roberto Lerici rispettoso del sapore d'epoca, appartiene a un Feydeau alle prime armi ma già audacissimo come inventore di situazioni. Per costringere l'Opéra di Parigi a mettere in scena un Otello musicato da sua figlia, un ricco industriale (zucchero per diabetici!) pensa di mettere sotto contratto un grande tenore emergente e poi offrirlo come merce di scambio. Poi però scambia per il tenore il figlio scioperato di un suo amico di provincia, il quale accetta volentieri il lauto stipendio propostogli in cambio di qualche esibizione.
Il quiproquo sull'identità di questo giovanotto dura per tutta la prima parte dello spettacolo nella seconda se ne sfrutta invece un altro, legato alla sfacciataggine con cui lo pseudotenore non si perita di far la corte alla moglie del suo anfitrione, credendola però consorte di un medico ospite da costui. Due signore sposate ricevono così proposte, una direttamente, una tramite biglietti, ed entrambe si mostrano prontissime ad accettarle; alla lunga però si pestano i piedi, e il nostro eroe finisce per impalmare la figlia compositrice. Gli otto caratteri hanno in comune il fatto di credersi tutti più o meno astuti (compreso un cameriere lazzarone), ma poi di non riuscire fino in fondo nei loro obiettivi.
L'allestimento diretto da Francesco Macedonio in una scenografia ostentatamente semplice e colorita, con quinte e poche suppellettili, di Andrea Stanisci, è un perfetto esercizio di stile, da mostrare nelle scuole di arte drammatica. Tra gli interpreti, tutti impeccabili, spiccano la delicatezza di Antonio Salines che è l'orditore dell'intrigo, incapace di rendersi conto della propria stupidità, e la sicurezza di Gianluca Guidi come il presunto tenore, pronto ad approfittare della situazione; ma vanno ricordati accanto a loro anche Francesca Bianco, Gianfranco Saletta, Marzia Postogna, e la beniamina locale Ariella Reggio. Pubblico fitto e deliziato, ancora fino al 2 maggio.
Masolino D'Amico