regia: Luigi de Angelis
con Marco Cavalcoli
Roma, dal 15 al 10 febbraio 2008
Napoli, Galleria Toledo, dal 19 al 22 marzo 2009
Come sempre nel lavoro della compagnia ravennate, anche in «Him» - lo spettacolo che Fanny & Alexander presenta alla Galleria Toledo - s'intrecciano e interagiscono vari linguaggi: il titolo è quello del piccolo Hitler di cera e poliestere creato da Maurizio Cattelan; e nella stessa posizione, inginocchiato, e con le stesse fattezze e lo stesso abbigliamento della statuetta ci si mostra l'attore protagonista, il quale, a sua volta, riproduce in perfetta sincronia il sonoro originale (voci, versi di animali, musiche e rumori) del film, «Il mago di Oz», proiettato sullo schermo che lo sovrasta alle spalle. Ecco, scultura, teatro e cinema fusi insieme. Ma, ben al di là delle forme, ciò che rende significativo questo spettacolo è il sottile e allusivo gioco di accostamenti e di rimandi che ad esso presiede: a partire dalla frase tratta da una delle canzoni del film e adottata come sottotitolo, «if the wizard is a wizard you will see» (se il mago è un mago che vuoi vedere). E in proposito bisogna immediatamente riandare alla favola di L. Frank Baum da cui, nel 1939, venne ricavato il celebre musical della MGM interpretato da Judy Garland. Il mago in questione è un falso mago, ma a lui si rivolgono i tre compagni di Dorothy - lo spaventapasseri imbottito di paglia, l'uomo di latta e il leone codardo - per chiedergli, rispettivamente, un cervello, un cuore e un po' di coraggio. E ad essi il presunto mago dice, appunto, che, volendolo, possono possedere tutto ciò che desiderano. Insomma, è fin troppo evidente che Chiara Lagani, l'autrice, e Luigi De Angelis, il regista, ci mettono di fronte a una metafora della crisi che condusse l'Europa alla guerra e delle risposte bugiarde e illusorie che ad essa offrivano la dittatura e l'imperialismo nazisti. Non a caso il film di Fleming scontò la censura da parte di McCarthy. Rispetto a tutto questo, però, lo spettacolo di Fanny & Alexander adotta (ed è un ulteriore, e forse il maggior merito) un'ironia demitizzante ancora più sottile. Basta pensare che L. Frank Baum, il quale fra l'altro faceva il petroliere, una sera d'inizio secolo s'inventò la sua favola per addormentare i figli. Non poteva saperlo, naturalmente, ma, così, stava anticipando di qualche decennio tutte le teorie e tutti i discorsi del Führer, che per l'appunto al sonno (ma quello della ragione e del sentimento) indussero il cervello e il cuore del mondo. E a questo punto è perfino superfluo sottolineare la bravura di Marco Cavalcoli. Ha in mano una bacchetta da direttore d'orchestra. E da tale in effetti si comporta, poiché, non potendo riprodurre il sonoro del film per intero, sceglie a suo arbitrio le sequenze a cui dar voce. In breve, si arroga il diritto di creare un film personale. Proprio come - ed è lo sberleffo-chiave - Hitler voleva fare con la Storia.
Enrico Fiore
Luigi De Angelis, il regista del gruppo Fanny e Alexander, lavora per serie di spettacoli. Dopo i numerosi dedicati a «Ada» di Nabokov, e dopo Heliogabalus, ecco Him, primo d'una nuova serie per Il mago di Oz, o meglio per la sua protagonista, la fanciulla Dorothy. Vi è, in tutto ciò, una straordinaria, ossessiva, quasi morbosa continuità. Il personaggio archetipico potrebbe essere l' Alice di Lewis Carroll. Con Ada il tema dell' androginia si fa esplicito. Esso torna nell' Eliogabalo di Artaud, con connotazioni di ambiguità meno sfumate. Perfino in un recente spettacolo dedicato a Landolfi echeggiava lo stesso tema, fondato sulla figura dei «nippies», i simulacri. In Him la sorpresa è massima. La scorsa settimana definivo all' ennesima potenza Molly Sweneey, lo spettacolo che De Rosa ha tratto dalla commedia di Brian Friel: in esso uno strato linguistico si sovrapponeva all' altro, ovviamente modificandolo. Ma erano linguaggi posti per così dire in verticale. In Him, tanto semplice è ciò che vediamo quanto complesso, turbinoso, a-simmetrico il percorso per arrivare alla forma di cui siamo spettatori. Sulla parete di fondo scorre Il mago di Oz di Victor Fleming. Sul vuoto palcoscenico c' è un solo attore, in ginocchio, è Marco Cavalcoli. Davanti a lui, a terra, un piccolo computer (credo sia un computer su cui scorrono le immagini del film sincronizzate con le immagini che vediamo noi spettatori). Cavalcoli rotea la bacchetta di un direttore d' orchestra. Ma notevole è che Cavalcoli, Him, Lui, è nientemeno che Hitler. Lo individuano in modo infallibile il vestito marrone, la camicia color terra, la cravatta ugualmente marrone e, si capisce, i baffetti e i lisci capelli che cadono sulla fronte. La mente va subito a un' identica, o simile, immagine di Maurizio Cattelan. Di questo Hitler, denominato Him, vi sono in circolazione due o tre copie. Una di esse è al Castello di Rivoli. Si tratta di una statua, a grandezza naturale, in vetro-resina, con una finta pelle per viso e mani. Il vestito è uguale, o quasi uguale, a quello di De Angelis. L' unica differenza tra questi due simulacri è che quello di Cattelan vuole essere guardato, e quello dello spettacolo ci guarda, anzi agisce, dirige un' immaginaria orchestra, in altre parole non è solo un pupazzo, è un attore. L' eccezionalità dello spettacolo non consiste nel mero stravolgimento, ironico e svagato, dell' ironia di Cattelan, della sua macabra ironia. Qui siamo di fronte a una messa in scena critica del testo proveniente dalla sfera delle arti visive e, in un vertiginoso agglutinarsi dei linguaggi, del film di Fleming. Non c' è solo Cattelan. C' è anche, o prima di tutto, il mago di Oz, quel famoso ciarlatano per bambini, per i bambini che tutti noi siamo. E chi altri è, nel linguaggio di Fanny e Alexander, il ciarlatano principe, quel puerile, demente mago, se non Hitler, Him, Lui? Assente ogni riduzione del criminale a burlesco personaggio, questo Hitler che si contrappone al candore di Dorothy (il suo Eliogabalo!) non è più Hitler ma, artefice di una prova stupefacente, è Marco Cavalcoli. A furia di eccessi, l' attore depotenzia il suo personaggio. Egli fa il mago in tutti i sensi, ovvero dirige il gioco - del desiderio della casa e di quello della fuga da essa, del desiderio criminale e del pentimento (in ginocchio) - anche con la voce: nell' inglese originale del film, tutte le voci sono la sua. La vera casa, ci dice, è ciò che facciamo di noi da adulti, quando, come Dorothy, siamo senza casa.
Franco Cordelli