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IFIGENIA IN TAURIDE - regia Cesare Lievi

Ifigenia in Tauride Ifigenia in Tauride Regia Cesare Lievi

di Goethe
traduzione e regia di Cesare Lievi
scena di Josef Frommwieser
costumi di Marina Luxardo
luci di Gigi Saccomandi
musiche di Giovanni Ferliga
con Gigi Angelillo, Lorenzo Gleijeses, Maria Alberta Navello, Fabrizio Amicucci e Sergio Mascherpa
produzione Centro Teatrale Bresciano e Teatro Biondo di Palermo
al teatro Sociale (Brescia) 2009

www.Sipario.it, 3 dicembre 2009

Ifigenia in Tauride di Goethe per Cesare Lievi ha una inusitata attualità, è un mito greco che riletto dall’europeo Goethe si affaccia potentemente e prepotentemente sull’oggi. Con lo scrupolo linguistico e letterario che lo caratterizza Cesare Lievi firma oltre alla regia la tradizione di Ifigenia in Tauride. La forte natura letteraria del testo non è elusa da Lievi anzi nella prima e faticosa parte dello spettacolo si fa preponderante quasi che il regista/traduttore voglia evidenziare tutti i topoi neoclassici di un teatro di parola e di posa lirica che è quanto mai inattuale, ma forse funzionale ad evidenziare la forza della riflessione goethiana sul mito e in particolar modo sul senso di alterità, sul femminile e sull’eterno conflitto fra ragione di stato e ragione del cuore . Ifigenia è sacerdotessa di Artemide, scampata alla morte per sacrificio e consacrata al culto della dea in terra straniera sotto il dominio del re Toante che l’ha cresciuta come una figlia. La tragedia racconta dell’incontro della sacerdotessa con due stranieri, due greci che si scopriranno essere Oreste e Pilade, il primo fratello della sacerdotessa, in missione per sottrarre la statua della dea Artemide, atto dovuto ad Apollo come rimedio all’uccisione di Clitemnestra, compiuta da Oreste. Su questa vicenda s’innesta la riflessione filosofica di Goethe che fa di Ifigenia una eroina senza tempo, il tramite che risolve i conflitti, colei che incoraggia al rispetto dello straniero, colei che antepone la legge del cuore a quella dello Stato. Nell’operazione registica Cesare Lievi è come se procedesse per sottrazione, un gioco al sottrarre che si esplicita visivamente nella bella scenografia di Josef Frommwieser: un interno/esterno sepolcrale che è ingresso al tempio di Artemide e al tempo stesso ideale rovina di una guerra permanente… Col proseguire della vicenda gli elementi della scena si riducono per lasciare spazio ad un nero assoluto e alla fine rimane una costrizione che sa di casa diroccata, il tempio di Artemide, e la scala della regalità. Lo spazio scenico richiama i quadri di Carrà, ma soprattutto i due elementi architettonici pongono – nell’atto finale del dramma – a confronto il potere regale con quello sacerdotale, la legge dello Stato con quella del cuore di cui è portatrice e trionfatrice Ifigenia. La messinscena procede per sottrazione e più Lievi riesce a sfrondare, ad allontanarsi dal rispetto filologico del testo più la chiave registica acquista in efficacia. La sacralità dello straniero, la scelta etica di Ifigenia che pur nel desiderio di tornare a casa col ritrovato fratello Oreste non se la sente di ingannare il re Toante che l’ha cresciuta col rischio di mettere a repentaglio la vita stessa di Oreste emergono potentemente alla fine e ripagano lo spettatore di un avvio faticoso. Cesare Lievi dimostra di essere un regista di pensiero e lo dimostra quanto più lascia spazio alla sua capacità analitica. Azzeccata la scelta di affidare il ruolo di Ifigenia a Maria Alberta Navello che sa dare corpo e spessore a parole che pesano, ma anche ad una poesia di ‘maniera’ che invece si fa difficoltosa in bocca a Lorenzo Gleijeses, un Oreste tutto fisico che è dirompente nel suo agitarsi in scena, a volte eccessivo nel suo dibattersi amletico da eroe macerato e perseguitato dalle Furie. Di maniera gli altri: Fabrizio Amicucci (Pilade), Sergio Mascherpa (Arcade) e Gig Angelillo, un Tonante dalla regalità autorevole più che autoritaria.

Nicola Arrigoni

Ultima modifica il Domenica, 11 Agosto 2013 09:34

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