regia e drammaturgia Eugenio Barba, Lorenzo Gleijeses e Julia Varley
con Lorenzo Gleijeses
musiche originali e partiture luminose di Mirto Baliani
oggetti coreografici Michele Di Stefano
consulenza drammaturgica Chiara Lagani
scene di Roberto Crea
voci off di Eugenio Barba, Geppy Gleijeses, Maria Alberta Navello, Julia Varley
assistente alla regia Manolo Muoio
produzione NordiskTeaterLaboratorium, Gitiesse Artisti Riuniti, Fondazione TPE
al teatro Comunale, Casalmaggiore 29 aprile 2023
Il teatro è lo spazio della finzione, attraverso il quale si disvela la realtà, un disvelamento che certe volte, forse, va al di là delle aspettative dell’attore, del regista, del drammaturgo di turno. C’è nella creazione teatrale e forse nella creazione in genere una irresistibile tentazione all’autonomia espressiva: in una parola l’opera dice più di quanto il suo autore s’attenda o pensi, perché dice nello sguardo e nel cuore dello spettatore, perché è la risultante di un intreccio di emozioni e di presenza. Ed in fondo è quello che accade in Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa di Lorenzo Gleijeses, realizzato con l’apporto registico di Eugenio Barba e Julia Varley, le musiche originali e partiture luminose di Mirto Baliani, la consulenza drammaturgica di Chiara Lagani che ha cucito insieme la lettera al padre di Franz Kafka, La metamorfosi e altri testi e ovviamente la coreografia di Michele Di Mauro. Fisico nervoso da danzatore, volto scavato, due grandi occhi chiari, Lorenzo Gleijeses non si è limitato a costruire un pezzo tutto per sé, mettendo alla prova le sue doti di danzatore, attore e performer in genere. In Una giornata qualunque del danzatore Gregorio Samsa si mette a nudo, si offre al pubblico con una energia impudica che lascia una soffocante tristezza in chi assiste al racconto di quell’uomo prigioniero di sé stesso, della sua smania di precisione, della voglia di dare il massimo, fino allo sfiancamento. In uno spazio buio il danzatore Gregorio prova il suo spettacolo, nel giorno precedente il debutto, fra incertezze e rimproveri del maestro (la voce registrata di Barba). Lo spazio nero si trasforma, poi, in un rettangolo bianco, la stanza del danzatore in cui Gregorio prova in maniera compulsiva il pezzo, si muove coreografato in ogni gesto, mentre risponde alla fidanzata, cerca il padre e subisce quella strana metamorfosi che lo trasforma in qualcosa d’altro, non solo e non tanto l’insetto della Metamorfosi kafkiana, ma piuttosto in un essere coreutico che lo possiede, lo rende movimento franto, costruttivo e ossessivo che nel proiettarsi sullo schermo visivamente ne fa un insetto. Ci sono maestria e virtuosismo nel lavoro di Gleijeses. Lo spettacolo è un puzzle in cui sono evidenti le diverse mani dei collaboratori e in mezzo ci sono corpo e spirito su cui disvelare le proprie inquietudini, che si offrono allo sguardo del pubblico, senza pudore alcuno. Gleijeses fa di più che cucirsi addosso una costrittiva partitura recitativo/coreutica, si svela, si racconta e butta lì feroce e senza filtri il conflitto col padre. Questo è il tema del lavoro, non c’è solo la riflessione metateatrale della ricerca estetico/espressiva del performer che, se non mediata oppure dominata, rischia di essere fine a sè stessa e far percorrere quella strada nella luce che porta al buio. Lorenzo Gleijeses – già Andrea Agassi nello spettacolo di Fanny & Alexander sulla biografia del tennista tiranneggiato dal padre – mette in scena sé stesso, attraverso le parole di Kafka, mette in scena l’essere figlio di Geppy Gleijeses, la sua necessità di trovare una propria strada, di cercare nuovi maestri, figure sostitutive del padre? Si pensi solo al rapporto intenso con Eugenio Barba che appare per timore e reverenza un sostituto artistico della figura paterna. Tutto funziona in Una giornata qualunque di Gregorio Samsa, tutti i tasselli sono al loro posto, individuabili nella loro genesi magistrale, Lorenzo Gleijeses è corpo che vibra, macchina danzante, segno attoriale che scrive nello spazio la sua disperazione, il suo bisogno di un padre che non lo giudichi, non lo soffochi, ci sia, ma soprattutto che lo ami e lo guardi. E così al termine, l’attenzione emotiva si sposta dalla bravura dell’interprete alla fragilità dell’uomo.
Nicola Arrigoni