di Bernard-Marie Koltès
Traduzione Francesco Bergamasco
un progetto Bluemotion
adattamento, regia, scene e video Giorgina Pi.
Interpreti Valentino Mannias e Andrea Argentieri, Flavia Bakiu, Monica Demuru, Gaia Insenga, Giampiero Judica,
Dimitrios Papavasilìu, Aurora Peres, Alessandro Riceci, Kevin Manuel Rubino, Alexia Sarantopoulou
Costumi Sandra Cardini e Gianluca Falaschi
colonna sonora originale Valerio Vigliar, ambiente sonoro Collettivo Angelo Mai
luci Andrea Gallo, cura del suono Cristiano De Fabritiis, assistente alla regia Michael Ferretti / assistente ai costumi Anna Varaldo
Produzione Teatro Nazionale di Genova, Teatro Metastasio di Prato e Romaeuropa Festival, in collaborazione con Angelo Mai, AMAT, Istituto Italiano di Cultura di Parigi, Olinda
Al Teatro Gustavo Modena di Genova Sampierdarena dal 30 ottobre al 10 novembre 2024
Questa drammaturgia postuma del tormentato scrittore francese è ispirata alla vicenda reale del serial killer italiano Roberto Succo, ma in realtà in essa di quella persona non molto rimane nel personaggio Roberto Zucco (forse non a caso Koltès modificò l'iniziale del cognome) risultando qui le sue vicende trasfigurate in una sorta di innesco, intimamente procurato dall'incontro con lo sguardo di lui in una foto segnaletica intercettata nella metropolitana, che fa esplodere improvvisamente e irresistibilmente nel drammaturgo, ormai prossimo a soccombere a soli 41 anni all'AIDS, il sentimento dell'Angoscia che da stato d'animo diventa per così dire, nella scrittura e nel transito scenico, una sorta di 'assoluto'. Ma non l'angoscia della morte che si avvicinava, piuttosto l'angoscia e il profondo dolore della vita che in quello sguardo veniva riconosciuta, poiché in questa sotterranea memoria dostoewskiana senza Dostoewskij, in questo Delitto e Castigo senza 'pentimento', la morte (ultimo possibile 'riscatto') è paradossalmente assente in quanto Dio stesso è morto e con lui ogni speranza per l'Essere umano (sostantivo e verbo insieme) e dunque la sua (U)umanità. Tra l'altro Koltès che a un certo punto della sua vita non voleva più scrivere, decise di riprendere dopo aver visto in scena Maria Casarès, il cui nome ci riporta ad Antonin Artuad, alla sua crudeltà e al corpo che 'brucia' in scena. Roberto Zucco però è un testo che non è un “Testamento”, è invece, credo, l'espressione lucida di una coscienza che poco o nulla ha da lasciare a se stessa o agli altri, quasi avesse raggiunto la consapevolezza che se la morte (come passaggio) è assente anche la vita 'evapora' al sole gnostico del nulla. In questo, nel comune sentimento dell'Artista Maledetto (il rimbaudiano Maudit) che è il vero e sacerdotale 'veggente' di quel nulla, rimanda alle esperienze ad esempio di Jean Genet, nel quale l'omosessualità è lo stigma di una 'diversità' irriducibile, che lo rende 'eremita' tra la folla tumultuosa. Ma suggerisce anche Rainer Werner Fassbinder con la differenza che in quest'ultimo, attraverso anche il suo attaccamento al melodramma e come in Dostoewskij, il 'sentimento' sopravvive e incarnandosi 'salva' come una grazia. In proposito, molti anni più tardi, il recentemente scomparso Cormac McCarthy scriverà nel suo ultimo doppio romanzo Il passeggero: <<Io di Dio non credo niente. Mi limito a credere in Dio. Kant aveva ragione riguardo alle stelle sopra e alla verità dentro. L'ultima luce che vedrà il non credente non sarà l'offuscarsi del sole. Sarà l'offuscarsi di Dio. Nasciamo tutti dotati della facoltà di vedere il miracoloso. Non vederlo è una scelta. Credi che la sua pazienza sia infinita? Io credo che probabilmente siamo arrivati al limite, credo ci siano forti probabilità che saremo ancora qui per vederlo inumidirsi il pollice e chinarsi a svitare il sole>>. Una suggestione questa paradossalmente richiamata, quasi ne fosse stata suggerita, dalla scelta di Giorgina Pi di aprire e chiudere la sua bella messa in scena con un dominante sole artificiale che man mano si spegne. Anche in questo, venendo allo spettacolo, la sensibilità estetica di Giorgina Pi, che oltre alla regia, alle scene e ai video ha curato anche l'adattamento scenico del testo nella buona traduzione di Francesco Bergamasco, mostra di aderire con spontaneità alla scrittura di Koltès, sottolineandone il suo (del testo) essere fluido, quasi in un totalizzante eracliteo scorrere. Infatti Roberto Zucco si dimostra man mano come uno spettacolo in fondo con un unico personaggio (Koltès stesso?), che si rifrange caleidoscopicamente nelle molte persone che affollano una scena oscuramente mobile, quasi sospesa sull'abisso di un mondo che per metà è fatto di tenebra, dentro la quale la sofferenza del femminile, tra violenza, svalutazione sociale e sfruttamento sessuale, diventa metafora di una condizione ineludibile. La regia così più che dare i movimenti, li rintraccia già presenti e quasi tirannici dentro il testo stesso, i cui quadri scenici sono in fondo come sogni che emergono improvvisi ed enigmatici dentro il flusso joyciano di una coscienza che però va a spegnersi. La musica che quei movimenti accompagna è come una esplosione di suoni, mentali prima ancora che fisici, a custodire come un liquido amniotico prima i vagiti e poi le grida di quei perduti esseri umani che faticano a sovrastarli. La microfonatura necessaria distorce però quelle voci senza darle 'volutamente' una forma compiutamente 'significante', quasi che il loro significato non potesse andare oltre il loro essere grido inascoltato perché senza possibile interlocutore. Mentre i video sul fondo scena tentano, talora invano, di riportarci al 'racconto' gli attori in scena sono come ironiche ferite di un corpo ormai esangue. Uno spettacolo perturbante che qualcuno può talora aver percepito come fastidioso, perché l'angoscia 'è' fastidiosa, ma che talvolta riesce ad agganciare un profondo che, così, da inconscio si fa dolorosamente 'conscio'. Bravi tutti gli attori di un cast plurinazionale che, che come è cifra di Bluemotion, si alimenta di molti canali. Sbarcato a Genova dopo la prima nazionale dello scorso 25 ottobre al Romaeuropa Festival, lo spettacolo credo farà positivamente discutere, proprio perchè e con sincerità inusuale parla del bene e del male. Dedicato alla Palestina, la cui bandiera è stata portata in scena dagli attori, ha ricevuto molti applausi. Maria Dolores Pesce