da Pierre Choderlos de Laclos
regia e drammaturgia Giuseppe Argirò
con Viola Graziosi, Giorgio Lupano, Silvia Siravo, Elisabetta Arosio, Francesca Astrei, Vinicio Argirò
costumi Emiliano Sicuro disegno luci Giovanna Venzi
produzione Teatro della Città di Catania
Borgio Verezzi, piazza s. Agostino, 26 luglio 2024
Da quel capolavoro che è Les liaisons dangereuses (1782) di Choderlos de Laclos viene tratto lo spettacolo che debutta (in prima nazionale) a Verezzi nell’ambito del LVIII Festival teatrale, ed è una piacevolissima sorpresa. Giuseppe Argirò ha preso questo romanzo epistolare, un classico della letteratura europea, e ne ha posto in evidenza tutti i riferimenti che esso mantiene con la realtà contemporanea rimettendo in gioco quello che era lo scopo primario dell’ufficiale di artiglieria de Laclos: indagare e denunciare la condizione femminile nella Francia di fine Settecento. Argirò sottrae l’articolo dal titolo, che diventa Relazioni pericolose, quelle che ancora oggi molte donne sono costrette a vivere (e a subire) all’interno di rapporti distorti e patologici, improntati ad un maschilismo vieto e talvolta violento, in cui, come sottolinea lo stesso regista, Eros e Thanatos si intrecciano indissolubilmente, offrendoci i frutti malati di rapporti in cui desiderio di controllo, possesso, manipolazione psicologica verso la partner trasformano l’amore in un macabro gioco con soluzioni spesso esiziali. «Relazioni pericolose» messe in atto da una coppia di annoiati e ricchi esponenti della nobiltà francese (la marchesa de Merteuil e il visconte de Valmont) che amano osservare il tempo che trascorre tra i divani e i tavoli da gioco intessendo trame amorose avvelenate da lussuria e vendetta ma, tra le pieghe dell’ozio e delle lenzuola, de Laclos indaga l’animo dei suoi protagonisti fin nei più reconditi meandri e ne distilla gocce di umanità annichilita nei principi morali e che erge la propria contromorale, dissoluta e nichilista, contro l’imminente precipitare degli avvenimenti sociali. Quattro anni dopo le Liaisons dangereuses, Da Ponte e Mozart metteranno in scena Le nozze di Figaro e, l’anno dopo, il Don Giovanni: due opere che proseguono sulla falsariga del romanziere francese denunciando l’ormai imminente fine dell’Ancien régime. L’epopea distorta della nobiltà maschile, seduttori impenitenti che corrono dietro le gonne di nobildonne e popolane, è giunta all’epilogo; così anche l’affilata intelligenza machiavellica della Marteuil la quale, come un abile giocatrice di scacchi, allestisce il suo spettacolo fatto di strategie e vendette che corre disperatamente verso una fine in cui il tempo e la Storia divoreranno privilegi e ricchezze, amplessi e scommesse lasciando dipingere, all’inchiostro di mille lettere, il nero del baratro e la desolazione della sconfitta esistenziale. Il vitalismo sessuale di Valmont e le sofisticate architetture della Marteuil alla fine produrranno i loro effetti, soprattutto sulle vittime femminili che finiranno con lo scontare peccati indotti dalle menzogne e dei piani orditi dai due protagonisti: madame de Tourvel morirà in convento per il dolore creato dagli inganni di Valmont, Cécile de Volanges verrà chiusa in convento dopo essere stata sedotta dallo stesso Valmont, il quale verrà ucciso in duello dal giovane Danceny (innamorato a sua volta di Cécile), ma in punto di morte Valmont rivelerà delle lettere della Merteuil che, una volta rese pubbliche, getteranno discredito e onta sulla nobildonna la quale terminerà i suoi giorni ostracizzata dalla società. Relazioni pericolose, come l’originale, è la storia di un suicidio di una parte della società, racconto storico, in primis, ma, così come nel romanzo di de Laclos, anche nell’adattamento di Argirò essa sa farsi discorso che sfugge ad una collocazione temporale precisa per distendere il suo esempio anche ai tempi nostri, travalicando la dimensione storica grazie allo scavo psicologico, e ci parla, con voce potente ed insinuante, di noi uomini e donne del XXI secolo con una profondità che tanti testi contemporanei non posseggono. In ciò ha contribuito l’intervento sapiente a livello drammaturgico del regista che, da cultore del teatro greco, con un gioco di incastri e di rimandi alla classicità, ha reso paradigmatici i confronti fra uomini e donne e fra l’umano e il divino sottolineando come il peccato di hybris, alla fine, venga sempre e universalmente punito. Lo spettacolo ha un buon ritmo e gli attori, i quali meritano tutti una particolare menzione: Giorgio Lupano (Valmont), Viola Graziosi (Merteuil), Silvia Siravo (Tourvel), Elisabetta Arosio (Volanges) Francesca Astrei (sua figlia Cécilie), Vinicio Argirò (Danceny), hanno saputo rendere in maniera efficace e convincente personaggi complessi e sfaccettati (i primi tre in particolare). Tra momenti cupi e tesi ed aperture ironiche e giocose la messa in scena di Argirò si dipana in modo fluido, in un’atmosfera alla Barry Lyndon; sottolineature musicali clavicembalistiche e brani desunti dal teatro mozartiano sembrano mostrarci sottotraccia la morte in scena di un altro Don Giovanni: Valmont. La regia, agile e sicura, ha guardato in modo fine e discreto al capolavoro del regista Stephen Frears (1988), versione cinematografica all stars del romanzo di de Lalaclos, con Glenn Close nei panni della Merteuil, John Malkovich nel ruolo di Valmont e Michelle Pfeiffer in quello di Marie de Tourvel: citiamo, ad esempio, l’acconciatura della marchesa e l’indimenticabile epilogo con Glenn Close che si osserva nello specchio e il volto che vede è l’immagine della propria disfatta morale, scena giustamente ripresa nello spettacolo. Infine, misurato ed efficace l’utilizzo delle luci che, con colori decisi hanno enfatizzato i momenti più tesi della drammaturgia, ma ci corre l’obbligo di elargire un plauso per i costumi davvero bellissimi: il bianco per i personaggi «candidi» (Danceny, Cécile, Tourvel), un color oro per la marchesa e le varietà di celeste e oro per Valmont mostravano verità e finzione tra le due categorie umane. A questo ottimo spettacolo, che proseguirà nella stagione invernale, auguriamo tanto successo, così come al termine della rappresentazione gli ha voluto decretare il pubblico verezzino con applausi convinti e generosi. Mauro Canova