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COME GLI UCCELLI – regia Marco Lorenzi

"Come gli uccelli", regia Marco Lorenzi. Foto Giuseppe Distefano "Come gli uccelli", regia Marco Lorenzi. Foto Giuseppe Distefano

di Wajdi Mouawad
Regia di Marco Lorenzi
Consulente storico: Natalie Zemon Davis. Traduzione Monica Capuani del testo originale Tous des oiseaux. Adattamento Lorenzo De Iacovo e Marco Lorenzi. Interpreti: Aleksandar Cvjetković, Elio D’Alessandro, Said Esserairi, Lucrezia Forni, Irene Ivaldi, Barbara Mazzi, Raffaele Musella, Federico Palumeri e Rebecca Rossetti
Assistente alla regia: Lorenzo De Iacovo. Dramaturg: Monica Capuani
Scenografia e costumi: Gregorio Zurla. Disegno luci: Umberto Camponeschi
Disegno sonoro: Massimiliano Bressan. Vocal coach e composizioni originali: Elio D’Alessandro
Esecuzione al pianoforte de “La marcia del tempo” e “Valzer per chi non crede nella magia”: Gianluca Angelillo
Video Full of Beans – Edoardo Palma & Emanuele Gaetano Forte
Consulente lingua ebraica: Sarah Kaminski. Consulente lingua tedesca: Elisabeth Eberl. Un progetto de Il Mulino di Amleto
Produzione: A.M.A. Factory, Elsinor Centro di Produzione Teatrale, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Teatro Nazionale di Genova, TPE – Teatro Piemonte Europa in collaborazione con Festival delle Colline Torinesi con il sostegno di Bando ART-WAVES Produzioni 2022 e 2023 della Fondazione Compagnia di San Paolo
Teatro Storchi di Modena dal 25 al 27 ottobre 2024

www.Sipario.it, 1 novembre 2024

Sembra scritto proprio in questi giorni il testo teatrale Come gli uccelli (Tous des oiseaux) del drammaturgo Wajdi Mouawad, libanese naturalizzato canadese, durante una guerra infinita tra Israele e Palestina che continua dai tempi più antichi. Il lavoro andato in scena la prima volta sette anni fa al Théâtre de La Colline di Parigi con la regia dello stesso autore, è apparso nei primi di ottobre del 2023 al Teatro Astra di Torino diretto da Marco Lorenzi, che lo ripropone adesso giusto un anno dopo   al Teatro Storchi di Modena. Trattasi d’una storia avvincente che ruota attorno ad una famiglia israeliana che dopo la disfatta araba dei Sei Giorni del 1987 propiziata dal generale con la benda nera all’occhio Moshe Dayan, ha deciso di vivere in Germania, mentre il loro giovane figlio Eitan (Federico Palumeri) è andato a studiare a New York laureandosi in genetica. Qui in una biblioteca della Grande Mela Eitan incontra non casualmente Wahida (Lucrezia Forni), una ragazza americana di origini arabe di cui s’innamora pazzamente Lui sembra un Romeo molto esuberante, lei una Giulietta più tranquilla, affascinata da questo ragazzo che salta da una sedia all’altra e pure sul tavolo pieno di libri, illuminato da una lampada dal vetro verde. L’immagine che subito mi viene davanti è quella di Gene Kelly che danza con Debbie Reynolds in Singin' in the Rain, (film del 1952 diretto da Stanley Donen e dallo stesso Kelly), magari senza inzaccherarsi le scarpe, oppure, facendo meno i cretinetti, possono accostarsi a quelle due giovani coppie del Sogno shakespeariano, quali Lisandro/ Ermia e Demetrio/Elena. Arriva la Pasqua e quale periodo migliore per far conoscere Wahida alla sagrada famiglia? Ed eccoli adesso tutti insieme appassionatamente a New York, indispettiti quando apprendono che Wahida non è ebrea ma araba, facendo sobbalzare David (Elio D’Alessandro) padre di Eitan, che quasi come un Don Rodrigo, non dirà che “questo matrimonio non sa da fare”, ma che la ragazza “non fa parte della nostra cerchia, del nostro giardino” e dunque non potrà rendere felice il figlio. Succede poi che Eitan volendo conoscere la nonna Leah (Irene Ivaldi) che vive da 35 anni separata dal nonno Etgar (Aleksander Cvjetković), propone a Wahida di andare con lui in aereo a Gerusalemme, dove, manco a dirlo, imperversa una guerra infinita. Succede pure che il camion sul quale viaggia Eitan viene fatto saltare in aria in un attentato sull’Allenby Bridge, il famoso ponte che collega e divide Israele e Giordania, ma pur entrando in coma riuscirà a salvarsi. Da qui in avanti conosceremo più da vicino la famiglia di Eitan e alcuni segreti che vengono alla luce dopo 50 anni. Gli stessi che ha il figlio David che vive a Berlino con la moglie Norah (Rebecca Rossetti) di professione psicanalista e che appena apprendono la notizia del figlio morente si precipitano in aereo a Gerusalemme, dove vi giungerà poco dopo pure il nonno Etgar. L’incontro dei genitori di Eitan al capezzale del figlio in ospedale non è dei più felici, perché vengono alla luce verità fondamentali finora taciute, più rivelatori in momenti successivi, riguardanti in particolare la persona di David, il quale risulta essere un trovatello raccattato da Etgar da una scatola di scarpe durante la Guerra dei Sei Giorni e fatto crescere come un figlio ebreo e non arabo. Una verità che deflaga nella testa di David al punto da subire un ictus e morire. Anche Wahida abbandonerà Eitan riappropriandosi delle sue origini musulmane e apparirà sulla scena il filosofo Al Wazzân (Said Esserairi), il personaggio di riferimento del XVI secolo su cui stava studiando la ragazza per la sua tesi a New York.  Abbiamo assistito ad uno spettacolo epico, in stile brechtiano, per i canti dolenti e le musiche originali di Elio D’Alessandro, per gli squarci di luce di  Umberto Camponeschi, per gli le scritte che si stampavano su un grandioso muro fatto ruotare dagli stessi attori, dove non c’era nient’altro sulla scena di Gregorio Zurla (suoi pure i costumi), solo questi formidabili protagonisti, di cui oltre ai già citati, meritano di comparire la soldatessa Barbara Mazzi nei panni di Eden e Raffaele Musella in quelli del medico e altri ruoli. Occorre ancora dire che questo spettacolo, applaudito alla fine molto calorosamente, era diviso in quattro parti, titolate col nome dell’Uccello che può essere di bellezza, del caso, del malaugurio e anfibio, che era recitato in quatto lingue (ebraico, arabo, tedesco, italiano) sottotitolato in inglese ed è stato in grado tenerci piantati sulla poltrona del Teatro per quasi 3 ore, facendoci ripassare un po’ di storia di questo flagellato Medio Oriente. Certamente il merito principale va dato ad una regia tutta a tambur battente di Marco Lorenzi, attraente al punto da non farci distrarre un solo momento, ma non sono da meno gli elogi che vanno assegnati all’efficace traduzione di Monica Capuani,  a Lorenzo De Iacovo e Marco Lorenzi che hanno adattato il testo e a Natalie Zemon Davis per la sua consulenza storica.

Gigi Giacobbe

Ultima modifica il Venerdì, 01 Novembre 2024 14:04

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