di Tim Crouch
traduzione: Pieraldo Girotto, dal Macbeth di William Shakespeare
regia di Fabrizio Arcuri
con: Enrico Campanati
luci e fonica: Matteo Selis
produzione: Teatro della Tosse e Accademia degli Artefatti
Pieveottoville, luglio 2014
Prova a immaginare è il refrain di Io, Banquo di Tim Crouch, ma è anche l'invito del teatro a credere vero ciò che accade in scena, è l'incoraggiamento che Banquo, alias Enrico Campanati, fa al pubblico. Io, Banquo di Tim Crouch, nella traduzione di Pieraldo Girotto, fa parte del progetto I Shakespeare che Fabrizio Arcuri sta realizzando con coerenza estetica e inventiva registica. «Prova a immaginare» questo chiede Banquo al pubblico, ai singoli spettatori chiamati ad essere di volta in volta Macbeth, Lady Macbeth, Macduff. Banquo racconta la sua amarezza, ma dice anche della sua rabbia di testimone impotente davanti all'ascesa violenta e sanguinaria di Macbeth, accomunati da battaglie, scorrimento di sangue, vittorie. Ma come è possibile arrivare all'uccisione del re Duncan, un atto contro natura, come possibile che un amico tradisca un altro amico? Come è possibile che l'ordine di uccidere Banquo e suo figlio Fleance arrivi proprio da Macbeth? «Se le streghe avessero detto a me ciò che hanno detto a te?», si chiede Banquo, di bianco vestito, su una scalinata bianca che procede su uno sfondo luccicante modello sipario da varietà anni Ottanta. In questo interrogarsi sull'impotenza di testimone della tragedia dell'ambizione si compie il testo di Tim Crouch, il racconto dell'amico di Macbeth che offre al pubblico la vicenda della tragedia più cupa e sanguinaria di Shakespeare. In un completo bianco con scarpe a coda di rondine, su una scalinata bianca, l'ascesa sanguinaria di Macbeth è racconto truculento, ascesa inarrestabile e fatale, è bagno ematico. Da una botola Banquo/Campanati immerge la mano in un liquido rosso, si macchia, si lorda la gola, i capelli, lui stesso vittima dell'ambizione di Macbeth, lui vittima di un amico, ma soprattutto inconsolato e sul finire arrabbiato testimone dell'ambizione più sfrenata, della sete di potere che non guarda in faccia alcuno. Si assiste a Io, Banquo respirando insieme a Enrico Campanati, sorridendo degli inviti a 'immaginare' e credere in quella storia. Sul palcoscenico la storia di Macbeth è raccontata e agita, non c'è un tono e un gesto fuori registro, tutto appare credibile e vero, proprio nella sua ostentata 'finzione'. Campanati è Banquo ma è anche il narratore esterno, è personaggio che si guarda da fuori, si mostra e dimostra l'abisso dell'animo umano prigioniero dell'ambizione. Fabrizio Arcuri costruisce uno spettacolo che funziona, chiaro, squillante, dice di Macbeth in un modo che sarà difficile scordare. Il testo di Tim Crouch scioglie l'intricata vicenda con chiarezza narrativa e al tempo stesso propone il punto di vista di quel Banquo che da amico passa ad essere vittima di Macbeth e poi suo incubo, fantasma, tormento della coscienza.
Nicola Arrigoni