Sarà, ma l’edizione 2022 dei Premi Ubu si specchia e si rispecchia nel migliore spettacolo dell’anno, L’angelo della storia di Teatro Sotterraneo, in cui si dimostra come i sapiens siano autori e, a volte, vittime della sostenibile necessità di costruire rappresentazioni e narrazioni per abitare il mondo, per cercare di capirlo o ancora meglio dominarlo col rischio, poi, di essere prigionieri delle nostre storie immaginarie. Nei Premi Ubu ciò che va in scena è un racconto condiviso di «un povero attore che si agita e pavoneggia la sua ora sul palco e poi non se ne sa più niente. È un racconto narrato da un idiota, pieno di strepiti e furore, significante niente». Dopotutto i premi a questo servono: a fermare l’attimo, a scongiurare l’effimero che è del teatro e della vita, come diceva Shakespeare in Macbeth.
La volontà di costruire un racconto che dia un senso a ciò che si fa e si vive è proprio dell’uomo e ben lo hanno argomentato i Sotterraneo ne L’angelo della storia e questa volontà di stoytelling sembra essere sostanziale ai Premi Ubu 2022, non solo perché permette ai premiati di riconoscersi parte di un tutto, ma anche perché offre al Premio Ubu il la per confermarsi parte del teatro e delle sue storie. E allora – oggi più che mai – sembra che spettacoli e protagonisti dell’Oscar del teatro – così amava definirlo e raccontarlo il suo fondatore Franco Quadri – mettano in scena brandelli di racconti, narrazioni che confluiscono in una sorta di epica riproposta del teatro che si vuole presentare come specchio del mondo, theatrum mundi. Così se i Sotterraneo ci disvelano gli inganni narrativi che l’uomo fa a sé stesso, l’Inferno di Roberto Castello è un mondo di corpi che non ci si attende e che regala stupore, lo stupore condiviso dai referendari che hanno premiato lo spettacolo come migliore produzione di danza. Il comitato scientifico dei Premi Ubu, composto attualmente da Lorenzo Donati, Roberta Ferraresi, Laura Gemini, Maddalena Giovannelli, Graziano Graziani, Leonardo Mello, Rossella Menna, insieme agli 80 referendari hanno cercato di raccontare – attraverso le diverse categorie di premi – una realtà teatrale che dopo due anni di pandemia rialza faticosamente la testa e lo fa con un’esigenza di rifrequentare la semantica dell’arte, con quella tensione al nuovo, all’innovazione che può essere semplicemente l’esigenza di ridefinirsi per non perdersi di vista.
Piace allora pensare che non sia un caso che il premio per la miglior curatela sia andato a Maurizio Sguotti di Konoteatro, direttore di Terreni Creativi Festival il cui pensiero dominante è quello di fare del teatro un’occasione per promuovere e animare un territorio, chiamando a raccolta la comunità degli artisti e degli spettatori. In questo ambito si crede di poter porre anche il premio a Fabrizio Arcuri «per la messa a punto di una progettualità espansa che da Area 06 passa a Short Theatre e da Prospettiva alla co-direzione artistica al CSS di Udine», oppure quello a Malagola di Ermanna Montanari ed Enrico Pitozzi, «una scuola di vocalità dall'anima artistica e scientifica che fa confluire le ricerche internazionali in luogo fisico, un palazzo storico di pregio restituito alla città in sinergia con le istituzioni locali». L’arte che trasforma, l’arte che cambia il mondo e l’arte che forma: allora in questo universo di racconti possibili il premio a Massimo Marino, critico e studioso di teatro, dice quanto mai la scrittura e l’impegno della testimonianza siano importanti nel qui ed ora della cronaca, come nell’opera meritoria di documentazione e compartecipazione intellettuale al magistero di Giuliano Scabia. In questo gioco di mille e un racconto del teatro italiano l’Ubu alla carriera, assegnato ad Umberto Orsini, sembra coniugare la tradizione del grande capocomicato italiano con il premio del teatro di innovazione e ricerca espressiva, voluto oltre quarant’anni fa da Franco Quadri, due prospettive solo apparentemente differenti, ma che in modo autonomo e a tratti complementare hanno contribuito a definire la storia e i caratteri del teatro italiano.
Nel segno delle parole che trasformano si pone la storia di Chi ha paura di Virginia Woolf? di Edward Albee per la regia di Antonio Latella, un testo che del raccontarsi e mentirsi fa un’occasione per mischiare e confondere i dati di realtà. In tutto ciò emerge la forza espressiva di Sonia Bergamasco, migliore attrice e di Ludovico Fededegni, miglior attore under 35. E sempre nella sezione attore under 35 si conquista il plauso dei referendari anche Alessandro Bay Rossi, il Cyrano che non deve morire di Leonardo Manzan, anche qui un personaggio che attraverso le parole si inventa la realtà, la mistifica, la esalta con la forza della poesia; completa la sezione under 35 l’Ubu a Stefania Tansini. E sui premi legati alla drammaturgia che si tratti di Figli di Mario Perrotta, piuttosto che Ottantanove di Elvira Frosini e Daniele Timpano la forza della parola completata nel corpo dell’attore e dello spettacolo dicono della complessità semantica del dire teatrale, complessità ben incarnata da Marco Cavalcoli, miglior attore Ubu 2022. Con la carabina di Pauline Peyrade si porta a casa l’Ubu come migliore novità straniera, ma anche l’Ubu a Licia Lanera, regista della messinscena italiana, un testo/spettacolo duro e poetico che non fa sconti e racconta la violenza su una bambina e la resa dei conti col carnefice/violentatore. Catarina e a beleza de matar fascistas di Tiago Rodrigues, miglior spettacolo straniero, dice di come il teatro possa giocare ancora un ruolo di critica politica alla realtà che viviamo. Gli Ubu alla miglior scenografia a Paola Villani per Carne blu, per i migliori costumi a Gianluca Sbicca per M. il figlio del secolo, per il miglior disegno a Nicolas Bovey per La signorina Giulia e I due gemelli veneziani e al miglior progetto sonoro a Muta Imago per Ashes dicono della complessità linguistica di quel racconto teatrale che chiama in causa tutti i sensi che unisce parola, suono, immagine, corpo in un mix che è semplicemente la vita, l’essere in scena presenti a sé stessi, il dimenarci come poveri attori in preda a una sorta di follia che ci chiede di trovare senso laddove non c’è, di trovare una nostra storia che dia un senso al divenire del tempo. In tutto questo i Premi Ubu 2022 – aperti non casualmente dalle lectio magistralis di Alessandro Bergonzoni e condotti da Laura Palmieri e Graziano Graziani di Rai Radio Tre – non hanno nascosto una loro urticante necessità: trovare una loro narrazione, trovare una nuova coesione estetica ed etica all’interno di un teatro postpandemico fluido e inafferrabile al limite del disorientante. Ed è proprio per questo che abbiamo sempre più bisogno di storia, racconti che ci restituiscono le certezze del caro vecchio, C’era una volta e… c’è ancora il teatro.