scritto, diretto e interpretato da Marco Cacciola
con testi originali di Lorenzo Calza, Michelangelo Dalisi, Letizia Russo
assistenza alla regia Carlotta Viscovo, audio e motion projection Iro Suraci, luci Fabio Bozzetta
consulenza al progetto sonoro G.U.P. Alcaro, consulenza ai movimenti Alessio Maria Romano
realizzazione costumi Elena Dal Pozzo, Foto di scena Luca Del Pia
produzione Fondazione Emilia Romagna Teatro
visto al Teatro Filodrammatici, Piacenza, 12 ottobre 2015
Io sono. Solo. Amleto: l'analisi del titolo si crede possa essere esemplare nel leggere il lavoro di attore/performer di Marco Cacciola. 'Io sono': è il punto di partenza di un'urgenza che Cacciola sente nel recuperare il senso dello stare in scena, prima per sé che per il pubblico che comunque è il naturale e imprescindibile destinatario del lavoro, come esplicita in apertura. La seconda parte del titolo: 'Solo' dice di una solitudine performativa, di un confronto con il linguaggio della scena, o meglio i linguaggi che compongono l'azione teatrale. Si tratta di una solitudine moltiplicata nell'azione monologante dei vari personaggi, azione costruita su Amleto – terza parte – che è come dire fare i conti con l'archetipo dell'essere o non essere attoriale.
Detto questo, Marco Cacciola usa come pretesto Amleto, ne elenca la lunga scia di decessi, andando in ordine di 'sparizione mortifera' dei vari personaggi: il padre/spettro, il figlio Amleto nella sua assunzione di follia, Polonio, Ofelia, Claudio, per poi concentrarsi sul gioco ritmico di Essere non Essere, e poi approdare alla Madre e chiudere col monologo Non so di Mariangela Gualtieri. Io sono. Solo. Amleto ha come grande assente il testo shakespeariano e l'autore evocato con excusatio non petita dall'attore. Il testo è ritessuto e recuperato come eco da una serie di contributi drammaturgici affidati a Lorenzo Calza, Michelangelo Dalisi e Letizia Russo, con inserti pasoliniani.
E così come la drammaturgia procede per collazione di pezzi, così la messinscena si offre come una serie di omaggi a maestri del teatro e di visioni teatrali che Cacciola cerca di incarstrare con non poca fatica, affaccendandosi sulla scena in una serie di meccaniche azioni non sempre fluide ed efficaci nella loro resa. Così Claudio di spalle che prega è emblema del potere, ma è anche un richiamo al teatro di Leo de Berardinis e al suo Totò principe di Danimarca, Polonio è imbonitore di parole – le pariole rubate dal potere e rese merce - e divertissement d'attore, mentre Ofelia è un vestito bagnato all'interno del quale Marco Cacciola, danza i movimenti concepiti per lui da Alessio Maria Romano. Essere, non essere è un gioco ritmico, è il problema, è la questione dell'essere piuttosto che il non essere. La figura della madre ha l'imponenza di una crisalide – omaggio a Giulietta di Michela Cescon – affidata alle parole di Letizia Russo, un meccanismo che riempie la scena e costituisce l'ennesimo colpo di scena di un Amleto assente, pre-testuoso che si chiude nel Monologo del non so di Mariangela Gualtieri che stigmatizza il 'non sapere' dei nostri tempi, ma forse anche il disorientamento di Marco Cacciola e la sua voglia di misurarsi con la semantica del teatro accumulando segni, cercando sostegni nel nutrito gruppo di collaboratori che ha contribuito a dar vita a Io sono. Solo. Amleto.
Questa sorta di centone teatrale un po' traballante se non convince lo sguardo dello spettatore abituale del teatro, sembra invece adatto per una platea di studenti, spettatori tendenzialmente non abituati al linguaggio della scena: questo è stato possibile registrare nell'ambito della replica piacentina al Teatro dei Filodrammatici. L'accostamento dei vari stasimi dello spettacolo, la suggestione offerta dall'utilizzo un po' autoreferenziale di registri teatrali differenti e alla fin fine un andare in cerca di un senso, di una chiusura di senso che non arriva costituiscono motivi di riflessione, interstizi, spazi aperti in cui lo sguardo neofita dei ragazzi si può concentrare, sollecitando interrogativi e riflessioni, ma anche azzardi interpretativi. Insomma il 'non essere' dell'Amleto di Cacciola sembra comunque aprire le porte alla costruzione di un 'essere teatrale' per lo sguardo vergine di studenti 'under 20'. Un aspetto su cui lavorare e riflettere.
Nicola Arrigoni