adattato da Terry Johnson
versione italiana di Antonia Brancati e Francesco Bellomo
regia di Teodoro Cassano
scene: Carmelo Giammello
con Giuliana De Sio, Giulio Forges Davanzati, Alessia Cardella, Pietro De Silva
Milano, Teatro Manzoni, dal 4 dicembre 2007 al 6 gennaio 2008
Roma, Teatro Quirino, dal 9 gennaio al 1 febbraio 2009
e continua a sedurre
Basterebbero, a dettare attenzione, il titolo del romanzo di Terry Johnson del 1967, Il Laureato, il romanzo stesso e l'omonimo film di Mike Nichols dello stesso anno con Anne Bancroft, Dustin Hoffman e Katharine Ross. Se poi il tutto si traduce un una versione teatrale credibile e ben confezionata, attorno ad una protagonista di rango come Giuliana De Sio, il gioco è fatto. Tornano alla grande le atmosfere del 1968, i tocchi anarchici della tragicommedia, lo humour che si trasforma in ghigno satirico rappresentando il caso dell'ancor bella e sensuale Mrs Robinson, alcolizzata, malmaritata e insoddisfatta, e della sua relazione di letto con il giovane Benjamin, ventenne neolaureato in vena di trasgressioni. Per non parlare del potere evocativo intatto delle canzoni di Simon& Garfunkel. Al Quirino di Roma lo spettacolo, con l'accurata regia di Teodoro Cassano, riprende martedì 13 (fino al 1° febbraio). Da dove cominciare? Dall'interpretazione della De Sio, che dichiara di volerla dedicare alla Bancroft, indimenticabile Mrs Robinson del film. De Sio perfettamente in ruolo, capace di restituirci, del personaggio, la doppia valenza di cui è carico: da una parte la spinta ribelle indotta dal fallimento e da una natura di per sé anticonformista; dall'altra la benedetta, insopprimibile vitalità dei sensi che conduce una bella donna a sedurre sempre, a sedurre comunque. Giuliana lavora con il professionismo che le conosciamo, ma vi aggiunge una zampata d'arte di cui questa Mrs Robinson si giova moltissimo. Riesce addirittura a deviare verso l'ironia l'unico momento eccessivo della rappresentazione, quando (in una scena contemplata dal romanzo, non dal film) il marito della "scapestrata" abbatte ad accettate la porta della sagrestia, dove la figlia, di cui Benjamin si è nel frattempo innamorato, si dibatte fra madre e ragazzo. Vedere per gustare. Infine, un applauso speciale a Giulio Forges Davanzati, sorprendente per quanto scabro ed efficace nei panni, non certo comodi per via di Hoffman, del laureato. Bravissimi anche Valentina Cenni, Luigi Di Fiore e Antonio Petrocelli.
Rita Sala
Convince e diverte lo spettacolo tratto dal film cult di Mike Nichols
C'è chi sostiene, che il celebre film Il laureato, diretto da un teatrante di classe come Mike Nichols nel lontano 1967, ebbe un'influenza preponderante tra gli studenti di Berkeley che, meno di dodici mesi dopo, avrebbero occupato il famoso campus universitario per protestare contro l'intervento americano in Vietnam e, successivamente, contro le politiche governative. E tutto questo perché il film, pur limitandosi a mettere in luce in un grottesco cinico e lucido le falle del perbenismo nella provincia middle class schiava del sesso e dell'alcool sotto la vernice della rispettabilità, scardinava tra le righe il mito di quel Sogno Americano che l'establishment ancora inalberava con orgoglio. Presto divenuto un film cult generazionale, Il laureato che contribuì in modo determinante all'affermazione di Dustin Hoffman nel ruolo del patetico giovanottino brutto ancora vergine a ventidue anni suonati, si è ora trasformato in una pièce di successo. Dove, a contendere onori e gloria a Benjamin, ribelle senza causa alla ricerca di uno spazio diverso da un posto al sole tra i grattacieli di Manhattan, c'è ora Mrs. Robinson, la terribile dark lady adepta in ugual misura della bottiglia e del fast sex extraconiugale che, nella pellicola, aveva invece una funzione di puro supporto. Nella bella scena di Carmelo Giammello dove le lucenti paratie schermate dalle veneziane abbassate alludono con una punta di sarcasmo a un'alcova anche quando l'azione si sposta dalla camera da letto di Benjamin al salotto dei Robinson e alla stanza disadorna del college dove il giovane innamorato dà appuntamento alla sua Elaine, il gioco teatrale assume via via consistenza e sapore da slapstick comedy. Anche e soprattutto per merito di Giuliana De Sio che, con classe sopraffina, affinato al calor bianco il suo sulfureo temperamento, disegna dapprima una seduttrice da fumetto insinuante e proterva come si conviene per tramutarsi, nel corso di un'azione senza esclusione di colpi, in una spietata custode del focolare domestico. Fingendo agli occhi della figlia di essere stata addirittura vittima di uno stupro da parte del Benjamin sottilmente inquisitore di Giulio Forges Davanzati. Che nello spettacolo, diretto con brio ed eleganza da Teodoro Cassano, si muta a vista via via che gli eventi incalzano nel più temibile dei contendenti per l'ape regina convinta a priori di averlo sbaragliato. Prima che l'happy end trionfi nell'irresistibile scena finale che, per il suo humour acidulo e irriverente degno delle farse accelerate di Labiche, resterà a lungo nella nostra memoria.
Enrico Groppali
Tutti, lo sappiamo, sono convinti che «Il laureato» sia un film cult, ma pochi si sono chiesti perché lo sia diventato: voglio dire, al di là dell'esplosione di Dustin Hoffman, dell'Oscar al regista Mike Nichols e delle canzoni di Simon e Garfunkel. Il fatto è che quel film, datato 1967, si pose come una sorta di spartiacque fra la nostalgia dell'America giovane alla «Easy Rider» e l'inquietudine dell'America giovane che un anno dopo si sarebbe opposta alla guerra del Vietnam. Lo spartiacque in questione è simboleggiato proprio dal personaggio che interpretò Hoffman: l'ombroso Benjamin Braddock che, appena diplomato al college, si trova preso fra gli stanchi rituali della ricca borghesia californiana, che rifiuta, e la relazione con la quarantenne signora Robinson, che lo travolge. Ma simili temi risultano piuttosto appiattiti nella versione teatrale de «Il laureato» che Francesco Bellomo presenta al Bellini. Qui - sulla traccia della versione italiana di Antonia Brancati e dello stesso Bellomo, che rimaneggiano un copione di Terry Johnson ricavato un po' dal romanzo di Charles Webb «The Graduate», che diede origine al film, e un po' dalla sceneggiatura di quest'ultimo, firmata da Calder Willingham e Buck Henry - la si butta platealmente e insistentemente sul comico. Vedi, in particolare, le sequenze relative all'albergo in cui si danno convegno Ben e Mrs Robinson, talmente imbottite di gag e lazzi da richiamare, piuttosto, «L'albergo del libero scambio» di Feydeau. E dal canto suo, il regista Teodoro Cassano non riesce a farsi venire molte altre idee oltre a quella di proiettare all'inizio (visto che nella camera di Ben ci sono lui in tuta da sub e un acquario!) giganteschi pesci multicolori sul velatino che chiude il boccascena. Ah, volete sapere del nudo integrale di Giuliana De Sio/Mrs Robinson, utilizzato come veicolo pubblicitario per lo spettacolo? C'è, c'è. In penombra e seminascosto - lungo il percorso che lei compie fra la porta del bagno e quella della stanza - prima dalla testiera del letto e poi dall'acquario predetto. Ma in ogni caso la De Sio (nella foto in una scena) è sempre bella e, per l'appunto nel registro del comico, davvero molto brava. Salvo che, poi, il passaggio dell'azione ai toni seri diventa troppo precipitoso, risultandone, così, il melodrammatico più che il drammatico, il «grossier» più che il grottesco. Infatti, il Benjamin di Giulio Forges Davanzati appare acerbo non solo rispetto al personaggio, ciò che va bene, ma anche rispetto all'interprete, ciò che va un po' meno bene. E degli altri si può dire, con grazioso eufemismo, che riesce alquanto difficile scambiarli per esponenti dell'«upper middle class». Alla «prima» molte risate, com'era nei voti. Ma allora, perché definire «estrema» Mrs Robinson? E la sparizione dei due registi annunciati, prima Michele Placido e poi Enrico Maria Lamanna? Una vera ecatombe...
Enrico Fiore
Torna Mrs Robinson, ma senza spessore
La seduttiva Mrs. Robinson e il giovane Ben, protagonisti del film del 1967 Il laureato, divennero icone della cultura alternativa americana del tempo. La commedia di Terry Johnson, nata dalla sceneggiatura del film e dall' originario romanzo di Charles Webb, ha fatto nel 2000 parlare di sé a Londra per i nudi della protagonista e per gli «esauriti». Ora approda in Italia nella versione Brancati-Bellomo con la regia di Teodoro Cassano, protagonista una temperamentosa Giuliana De Sio e il giovane Giulio Forges Davanzati. La storia dell' avvenente matura signora che seduce un giovanotto cattura ancora il pubblico. Ma in questo spettacolo, con la scenografia duttile ma poco affascinante di Carmelo Giammello, è la regia a non convincere. Tutti i temi che percorrono il testo sono appiattiti e spuntati: dalla voglia di ribellione che porterà di lì a poco gli studenti a contestare nei campus universitari, alla critica del vuoto conformismo di una società borghese ipocrita e priva di valori se non quello del danaro e della carriera. Nello spettacolo tutto si riduce, in una sorta di soap opera senza spessore, alla storia di una seduzione tra una signora, donna disillusa, cinica, annoiata che la brava De Sio, lanciandosi anche in un malizioso nudo quasi integrale, ben fa vivere in perenne stato di impudenza da alterazione alcoolica, (penosa la scena di ubriachezza di madre e figlia) e un giovanotto, viziato, vacuo, egoista, interpretato con freschezza da Forges Davanzati, che alla fine si innamorerà della figlia un po' scialba della sua amante, Alessia Cardella. Creando un fastidioso stacco stilistico con la recitazione «naturale» dei protagonisti, gli altri personaggi, resi secondo il disegno registico da Monica Guazzini, Pietro de Silva, Giuseppe Antignani, virano, impoverendosi, verso la macchietta.
Magda Poli
Il teatro che si ispira al cinema è, in fondo, un cerchio che si chiude. Il cinema nacque ai primi del '900 abbeverandosi al romanzo borghese ottocentesco; dal canto suo, il il romanzo borghese aveva mosso i primi passi, nel Settecento, partendo proprio dal teatro: i romanzi più antichi sono tutti dialoghi e descrizioni di azioni, con poca introspezione. Il medium che vampirizza l'altro, insomma, non è necessariamente il più debole. In ogni caso, data la tendenza, era forse inevitabile che anche un titolo cinematografico come Il laureato, tanto vivo nella memoria di una generazione, prendesse a sua volta la via del palcoscenico (ma anche anche quel film derivava da un romanzo. Che confusione!).
L'adattamento dell'americano Terry Johnson adotta il più possibile il linguaggio dello schermo, con molti brevi episodi in ambienti diversi, che quindi la scenografia (di Carmelo Giammello) ha il compito di suggerire con la massima elasticità. Per altri versi il risultato è abbastanza diverso dal film, anche se sospetto che tale sensazione dipenda in gran parte dalla scelta del protagonista. Giulio Forges Davanzati, che si muove e recita con encomiabile naturalezza, è un ragazzo di bell'aspetto, che si è cercato di mascherare un po' mettendogli un grosso paio di occhiali sul naso, mentre Dustin Hoffmann, all'epoca esordiente, era come tutti ricordano uno scorfano (grande trovata di casting. Arthur Miller racconta il suo stupore, una volta che lo incontrò sotto la pioggia bagnato come un pulcino, e l'attorucolo disoccupato gli disse che stava per partire per Hollywood, chiamato a una parte di protagonista). Quel brutto anatroccolo inteneriva lo spettatore e lo spingeva a tifare per lui quando con la forza della disperazione trascina via dall'altare la ragazza che sta per sposare un altro. Mentre Forges Davanzati non proietta fisicamente complessi, e quindi il contegno del personaggio emerge con tutti i suoi sgradevoli difetti - studente secchione che poi non ha voglia di crescere, puritano pronto a tuffarsi nel rapporto erotico con la signora sposata salvo poi proiettare su costei i propri rimorsi e sedurne la figlia, indifferente allo scandalo che provoca: un egoista, insomma, che calpesta i suoi cari e chiunque gli mostri affetto.
Per giustificarne i capricci, la regia di Teodoro Cassano accentua il macchiettismo dei suoi genitori, ma non può impedire che la signora Robinson, ossia la malmaritata alcolizzata, fredda seduttrice del nostro eroe, emerga come la persona più simpatica e attraente della serata. Con nostra fortuna, ché tale lettura consente a una Giuliana De Sio in gran forma di sfoggiare battute secche e ciniche, calibrate con tempi impeccabili e condite con la maliziosa esibizione di un nudo quasi integrale, quando le rimane addosso quasi solo il cavetto del microfonino - attrezzo che le consente una recitazione appunto cinematografica, molto contenuta, a differenza di altri interpreti che invece affettano l'aria con le mani. Alessia Cardella è la sua rampolla, graziosa presenza (ma la scena di madre e figlia ubriache è pessima, e potrebbe sparire vantaggiosamente da uno spettacolo di più di due ore e mezza); Pietro De Silva è solido come il suo marito prima distratto e poi furibondo. Una sinuosa cubista esegue uno striptease non integrale, ma almeno senza il cavo di cui sopra. Lei infatti non parla.
Masolino d'Amico