di William Shakespeare
traduzione Agostino Lombardo
regia: Franco Branciaroli
con Franco Branciaroli (Macbeth) e Valentina Violo (Lady Macbeth)
e con (in ordine alfabetico) Tommaso Cardarelli (Macduff), Daniele Madde (Malcolm), Stefano Moretti (Ross), Livio Remuzzi (Lennox), Giovanni Battista Storti (Re Duncan), Alfonso Veneroso (Banquo)
scene: Margherita Palli
costumi: Gianluca Sbicca
luci: Gigi Saccomandi
produzione: CTB Centro Teatrale Bresciano - Teatro de Gli Incamminati
Milano, Piccolo Teatro Strehler dal 18 ottobre al 6 novembre 2016
Un'elettrizzante e appassionante sfida quella di Franco Branciaroli - ottimo attore e regista, milanese di nascita (1947) e di formazione (scuola del Piccolo Teatro) - che in occasione dei festeggiamenti per il 400° della scomparsa di William Shakespeare (Stratford-upon-Avon, 1564 - 1616) porta in scena in tale doppia veste il Macbeth, uno dei lavori (ancorché il più breve) e ruoli più impegnativi e intensi della produzione del Bardo.
Se all'epoca in Scozia il potere reale, non essendo ereditario, è conferito al familiare più ardimentoso e audace, si può anche ipotizzare che il generale scozzese Macbeth dopo la vittoria (decisiva per il regno) contro Norvegesi e Irlandesi si aspetti una ricompensa e che da tale speranza covata nell'animo si dipani l'amara storia.
Certo è che l' ambizione da qualsiasi causa sia generata è un seme che ospitato nell'animo dell'uomo e innaffiato con il sangue cresce in modo vertiginoso creando un intrico di passioni e sentimenti apparentemente contraddittori - esaltati da un ego immaginifico proiettato nelle tre streghe e da una consorte volta al 'male' e come donna nell'Inghilterra shakesperiana 'male' esecrabile (di cui ancora oggi sono rimasti retaggi sparsi per il mondo) - che vanno dal moltiplicarsi degli atti di ferocia al timore che diviene paura e poi follia. Apparente forza e smisurata debolezza possono albergare in chiunque anche in chi come Macbeth fido e devoto verso il re finisce per macchiarsi di colpe efferate che sovvertono l'ordine sociale e la dignità umana in ogni tempo e luogo e che nascoste sotto abiti di perbenismo e 'civiltà' serpeggiano anche oggi infide e a volte più subdole.
Complesso e sfaccettato personaggio, indubbiamente difficilissimo da rendere nelle sue molteplici sfumature, di cui Branciaroli - che lo impersona per la terza volta: la prima ai tempi del liceo e la seconda nel 1994 con la regia di Sepe - fa emergere razionale e irrazionale in continuo e doloroso alternarsi di parole non supportate dal dipanarsi sulla scena dei rumori della storia, ma pura forza verbale utilizzata come 'strumento musicale' con cui Branciaroli affascina, conturba e adesca come sa fare sempre egregiamente, supportato da otto attori, validissimi 'strumenti musicali' dell'orchestra del dolore e della fatica di vivere dell'uomo.
Di grande e rara efficacia la scena in cui i demoni della coscienza si materializzano in Banquo, fantasma che acquisisce una forza fisica capace di scuotere quasi percuotendolo il corpo di Macbeth vivo e vestito di abiti purpurei senza tempo, simbolici del sangue versato e in grado di suggerire un'epoca lontana selvaggia e fiera, eroica e possente lasciata completamente all'immaginazione degli spettatori che vedono gli attori muoversi in una scenografia essenziale, minimalista e quasi inesistente se non per la cromia scura che la connota con il supporto di luci appropriate.
Wanda Castelnuovo