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MI CHIAMO LINA SASTRI - scritto e diretto da Lina Sastri

"Mi chiamo Lina Sastri", scritto e diretto da Lina Sastri "Mi chiamo Lina Sastri", scritto e diretto da Lina Sastri

scritto e diretto da Lina Sastri
Idea scenica e disegno luci Alessandro Kokocinski
direzione musicale e arrangiamenti Maurizio Pica
con Filippo D'Allio, chitarra / Gennaro Desiderio, violino / Salvatore Minale, percussioni Gianni Minale, fiati / Pino Tafuto, piano / Antonello Buonocore, contrabbasso

Produzione Ente Teatro Cronaca Vesuvioteatro
Teatro Quirino di Roma dal 4 al 9 ottobre - Teatro Trianon di Napoli dal 13 al 22 gennaio 2017

www.Sipario.it, 12 novembre 2016

V'è indubbiamente un guizzo di autostima, di residuale, trascorsa gavetta nel titolo asseverativo e di calmo orgoglio (mai esibita baldanza o finta timidezza) che Lina Sastri imprime a questa sua nuova tavolozza di musiche, canzoni, monologhi da collaudato, apprezzato repertorio- ormai prossimo al mezzo secolo di apprendimento, sacrificio, ostinazione, successi e rare inesattezze di mira. Indubbiamente bella, mediterranea, attraente, la poliedrica interprete veste con eleganza i suoi abiti di rosso-incendio che danno risalto alla 'scapigliatura' sulla sua scura epidermide: a cornice di un volto espressivo e volitivo che non fa sconti all'evoluzione del tempo, dei sentimenti, delle padronanze o disincanti della vita: di donna, di attrice, di persona consapevole, senza soluzione di continuità
Quando  s'apre il sipario ella appare qual figura minuta ma di polarizzante presenza scenica. Le sue movenze sono aggraziate ma determinate, ben calibrate, molto sensuali perché" il fascino è fascino" – e se non lo possiedi non puoi dartelo. E quindi Lina canta, balla, solfeggia   con elementi di mimica appena accennati : la sua espressività  sta infatti nel minimo gesto delle braccia e delle mani , quasi fosse un (per chi assiste) un 'ravvicinato' dettaglio cinematografico che poi serve, nell'ampliarsi della sequenza, a sottolineare, dare anima e nerbo pad una sua personale potenza "tutta partenopea", che non è mai di maniera o trepidazione emotiva- ma sentimento fiero e sofferto d'una eredità che le appartiene per diritto di sangue e di militanza artistica.

La scenografia, nata da un disegno scenico di Alessandro Kokocinski , è semplice, lineare con tre finestre stilizzate sulle quali piovono raggi di luce che 'illuminano' ad hoc ogni passaggio poetico-recitativo. Dovendosi poi avvalere di   un video- schermo su cui viene proiettato ciò che è in sintonia con il percorso scenico: il mare, ad esempio, elemento imprescindibile per la natura dell'attrice- o brevi percorsi (icone testimoniali, lari) di quel che fu recitato in altri tempi sempre in compagnia di musiche (antiche e moderne), poesia (altrettanto) e prosa (di ogni genere)

Intanto, lentamente e  lateralmente,  abbracciato ad una tenda, scende  la cara effige di Pulcinella, "numen loci" a protezione dello spettacolo, ma anche 'personaggio' da Cirque  du Soleil, che – per immaginazione- potrebbe liberarsi dalla tela e  uscire dall'immobilità  per muoversi, da un momento all'altro, come solo l'antica maschera atellana saprebbe a fare  Una paratia  mobile,  a tratti trasparente o opacizzata,  nasconde o rivela , a seconda  delle circostanze , i componenti dell'orchestra (dal vivo) che, per affiatamento e sintonia con la protagonista, dimostrano competenza ed esperienza di rara compattezza.

Probabilmente è proprio da questa eiedetica circostanza che scaturisce il "vero e proprio" nucleo irrazionale ma incantesimale della serata: quando le 'voci' così particolari  del violino o del sax alto si esprimono nel contesto delle  melodie, che non è fondamentale 'comprendere' in tutti i loro lemmi   (volutamente rapidi, non distinguibili com'è stile della Sastri), poiché a risaltare è il climax d'una ritualità- a suo modo -ipnotica, balsamica (tutti immersi in una sorta di  'amniotico' ritorno),  in cui la musica del passato e del presente si mischiano senza soluzione di continuità. Essendo, esse, substrato, tappeto evocativo  delle "perle di citazione" dal teatro di tradizione che sono 'l'altra anima' dell'artista.

Giudiziosa e pragmatica nel dividere  in cinque " quadri " il percorso dello spettacolo , che risulta così impregnato di apparizioni 'fantasmatiche', div(l)aganti, oniriche- come ad esempio   la discesa dall'alto  della Madonna  delle Rose mentre  Lina recita un frammento di   "Filomena Marturano ".    Cinque quadri-la memoria , il mare , la terra, il cielo, la solitudine- la rinascita- ma nessuna calligrafia, sterile nostalgia, folkloristico (colorato) rammarico.
Fosse un film, sarebbe 'virato' in color seppia.

Angelo Pizzuto

Ultima modifica il Domenica, 13 Novembre 2016 22:31

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