Associazione Culturale ABC
Enrico Guarneri
di Luigi Pirandello
regia Guglielmo Ferro
con Rosario Minardi, Vincenzo Volo, Rosario Marco Amato
Nadia De Luca, Turi Giordano, Mario Opinato
Pietro Barbaro, Francesca Annunziata, Giovanni Fontanarosa
consulenza musicale Massimiliano Pace
costumi Dora Argento
scenografia Salvo Manciagli
Roma, teatro Quirino dal 7 al 19 novembre 2017
Maschere di convenienza per convivenza
Ripescati nel mare magnum della produzione novellistica pirandelliana, rielaborati per una più diretta lettura drammaturgica, i due testi La Giara e La Patente affrontano alcune delle tematiche care all'autore agrigentino: la solitudine, l'incomunicabilità umana, la lucida follia, l'umorismo, il paradosso, il teatro nel teatro, la maschera di convenienza per una serena anche se fittizia convivenza sociale.
In un luogo angusto, cosiddetto Villa degli Scalognati, popolato da fantasmi in cui echeggiano le antiche voci dei Giganti della Montagna e dei Sei personaggi in cerca d'autore, scelto come palcoscenico per le prove delle due commediole, per l'appunto La Giara e La Patente, da parte di attori girovaghi e squattrinati, il regista Guglielmo Ferro con lodevole abilità creativa mette insieme i tasselli del suo spettacolo. Riesce appieno a delinearne i contorni, a sottolinearne le sfumature grazie anche alla passione dell'intero cast, primo tra tutti un insostituibile Enrico Guarnieri autentico rappresentante della tradizione teatrale siciliana.
Scritta nel 1916, La Giara che trae spunto da una novella composta nel 1906, presenta un timbro tragicomico ed è un esempio di causa-effetto dai risvolti paradossali. Zì Dima viene chiamato per riparare una Giara. Per poterla ricucire si cala al suo interno ma ne rimane incastrato. Decide di rimanerci dentro per non farla rompere di nuovo e per non pagarne il prezzo della riparazione. L'effetto scenico è sicuramente esilante ma il riso nasce da un disagio, rimane stretto tra i denti.
La Patente composta nel 1917, ripresa dalla novella omonima scritta nel 1911 e recitata per la prima volta da Angelo Musco nel 1918 a Torino, racconta invece la storia di Rosario Chiarchiaro noto jettatore che chiede al giudice un attestato, una patente, per esercitare la sua professione di menagramo, per apparire colui che la gente vuole che sia e per poter finalmente trarre vantaggio da quella disgrazia chiedendo quattrini ai commercianti superstiziosi per allontanarsi dalle loro botteghe. In entrambi i casi i due protagonisti sono vittime di circostanze negative, di un ruolo che si impadronirà della loro grama esistenza e con il quale impareranno a convivere.
Una piacevole messinscena che gravita in una dimensione metateatrale dai toni chiaroscurali. Bravi tutti gli attori capaci di trasporre sulla scena quei caratteri caricaturali vivi tra le tavole del palcoscenico soltanto nel momento magico della rappresentazione.
Applausi meritatissimi al teatro Quirino di Roma.
Patrizia Iovine