domenica, 08 settembre, 2024
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MORTE A VENEZIA (LA) - drammaturgia e regia di Liv Ferracchiati

“La morte a Venezia", drammaturgia e regia di Liv Ferracchiati. Foto Andrea Veroni “La morte a Venezia", drammaturgia e regia di Liv Ferracchiati. Foto Andrea Veroni

libera interpretazione di un dialogo tra sguardi
ispirato a La morte a Venezia di Thomas Mann
drammaturgia e regia di Liv Ferracchiati
con Liv Ferracchiati e Alice Raffaelli
movimento Alice Raffaelli
dramaturg Michele De Vita Conti
aiuto regia Anna Zanetti / Piera Mungiguerra
assistente alla drammaturgia Eliana Rotella
scene Giuseppe Stellato
costumi Lucia Menegazzo
luci Emiliano Austeri
suono spallarossa
voce di Tadzio Weronika Młódzik
consulenza letteraria Marco Castellari
produzione Spoleto Festival dei Due Mondi, Marche Teatro_Teatro di Rilevante Interesse Culturale, Teatro Stabile dell’Umbria.
Prima assoluta
Spoleto – Festival dei Due Mondi 2024 13 luglio 2024

www.Sipario.it, 14 luglio 2024

Un’opera d’arte che non riesce a raccontarsi con immediatezza, evidenza, rapidità e semplicità (e non banalità), è un feticcio che ha mancato la sua occasione. Vedendo La morte a Venezia di Liv Ferracchiati a Spoleto, presentata come una “libera interpretazione di un dialogo tra sguardi”, viene da chiedersi: perché rendere tutto così complesso e cervellotico, rinunciando a uno dei primi compiti delle poesia che dovrebbe essere la realizzazione di qualcosa di bello da condividere? La risposta la diede già a suo tempo Roberto Bazlen: perché complicare ciò che è semplice è la via più facile.

Liv Ferracchiati, nel tentativo di voler stupire e di competere con Thomas Mann, ha percorso una via che l’ha portata del tutto fuori sia dalla poesia che dalla forma teatrale in sé.

Lo spettacolo, se così lo si può chiamare, non ha attori e nessuna drammaturgia. Solo un testo letto da una voce fuori campo fintanto che non entra in scena lo stesso regista, e poi una ballerina – brava, non c’è che dire – che disegna coreografie. Vera protagonista di quest’opera informe, che per ragioni misteriose si è deciso di intitolare come il celebre – e quello, sì, stupendo in tutta la sua complessità eppure così immediato – romanzo breve di Mann, è l’immagine proiettata su uno schermo collegata a una telecamera che è già sul palco. Questa cinepresa inquadra prima delle fragole, poi la platea, dunque la ballerina e le sue espressioni sul volto, dopo di che Ferracchiati  che parla dialogando con la ballerina. Il tema del discorso? La morte affrontata per libera scelta d’amore: sentimento nato fra due soggetti che si sono guardati e con i loro occhi hanno raggiunto un altissimo grado di intimità. E così, raccontare anche la fatica di scrivere, resa forse meno dura dagli incontri con gli altri esseri umani. E dunque, oltre all’immagine, è la Parola l’altra protagonista: la Parola che non riesce più ad esaurire il suo compito di raccontare il mondo e gli altri, descriverli, e tentare anche di giungere a ciò di cui non si può parlare: il silenzio, ovviamente.

Tutto ciò può essere un pensiero interessantissimo, ma che nello spettacolo non ha avuto la sua forma attraverso nessun elemento teatrale: la recitazione, la drammaturgia, i personaggi, gli scenari e le situazioni. Se per capire un’opera teatrale si deve ricorrere alle spiegazioni di chi l’ha ideata, è evidente che si è venuti meno al compito poetico.

Perché accade questo alle nostre scene? Perché il fantasma della performance, il colera di ogni arte, pare debba ormai prevalere sul mezzo artistico col quale ci si esprime. Perciò qualsiasi forma, in senso letterale, di poesia è bandita.

Sarà questo il motivo per cui la recitazione (ma sarebbe meglio dire: dicitura) di Ferracchiati è apparsa piatta, inespressiva, incolore, senza intenzioni, neutra, noiosa, narcotica e vacua?

Una Morte a Venezia presente solo nel titolo e forse nella mente di Ferracchiati.

Sul palco, nient’altro che parole fatue che si dimenticano in pochi istanti. 

Pierluigi Pietricola

Ultima modifica il Sabato, 20 Luglio 2024 11:36

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