di Ricci/Forte
regia Stefano Ricci
movimenti scenici Marco Angelilli
con Anna Gualdo, Andrea Pizzalis, Giuseppe Sartori, Mario Toccafondi
Roma, Teatro Belli dal 8 al 11 giugno 2009
Macadamia (Giuseppe Sartori), Nut (Andrea Pizzalis) Brittle (Mario Toccafondi) sono i tre protagonisti maschili, che assieme a "Wonder Woman" (Anna Gualdo), interpretano il nuovo spettacolo firmato Ricci/Forte, liberamente ispirato al linguaggio e alle visioni allucinatorie e inquietantemente reali di Dennis Cooper.
Macadamia Nut Brittle è un gusto gelato della famosa catena Haagen-Dazs che già dal nome rivela non essere ciò che promette di essere.
Infatti la Haagen-Dazs non è una marca europea, presumibilmente scandinava, ma è nata nel Bronx nel '61 e l'espediente del nome deriva da una tecnica di marketing che fa leva nel proporre una merce americana sotto le mentite spoglie di un prodotto tipicamente europeo.
Niente al caso. "Niente è quello che promette di essere". Neanche Wonder Woman è più "Wonder" nel momento in cui, in questa scatola nera in cui spicca la parola 'love' sulle pareti, la vediamo contorcersi alla ricerca d'amore, amare una persona che non esiste mentre l'unica risposta umana che ottiene è il massacro spietato con cui il suo aguzzino annienta uno ad uno tutti i suoi sogni. "I tuoi sogni finiscono qui". Ed eccoci al capolinea, alla resa dei conti.
Adolescenti che "scopano per scaldarsi" in un rituale cannibalesco, che spegne loro lo sguardo, mentre inesorabilmente l'attrito dei corpi produce un calore fittizio in cui a sciogliersi è solo il ricordo dell'amore. Questa fame in realtà è un attacco bulimico, per colmare il vuoto, per placare il senso di solitudine, ma che a lungo andare porta ad anestetizzare il gusto. Il troppo volere e il non sapere più come soddisfarlo. Quando poi, nel nostro oggi, non sappiamo nemmeno più comunicare, forse proprio a causa di tutti i mezzi con cui potremmo farlo. E così noi che utilizziamo la tecnologia come un' appendice di noi stessi, come protesi del nostro corpo e della nostra mente per annullare le distanze, inconsapevolmente affoghiamo nel nostro isolamento. Noi, che viviamo il nostro amore contratto in frasi da sms uniti da un cellulare-cordone ombelicale, siamo vicini ma non possiamo parlare se non che attraverso un filtro, che non trattiene lo scarto per consegnare la sostanza, ma che svuota e riduce all'osso la carne del sentimento per centellinarlo in sterili frasi sconnesse. E se per qualcuno la virtualità aiuta ad acquisire sicurezza in sé prima di affrontare il mondo reale, personalmente mi sorge il dubbio che quando ormai ci si senta pronti per vivere sia già troppo tardi. "I tuoi sogni finiscono qui".
Allora come recuperare l'umano che è in noi? Scuoiando l'involucro-coniglio in cui ci siamo nascosti per riappropriarsi della carne viva-palpitante-nuda e cruda nell'ultimo tentativo di elemosinare amore? Sezionando una dopo l'altra le parti in cui si annidavano i sentimenti proprio in quel corpo su cui ora nessun segno può permanere e scivola via tra le lacrime il sudore? Dove cercare? Dove volgere lo sguardo? Come riconoscere la propria ambiguità e vivere , senza paura dell'altro,la propria identità? "Un'identità non è tale se non la si sa difendere".
E quando i tre impavidi sanguinanti e increduli guerrieri dell'amore, indossata la maschera dell' anti-famiglia per eccellenza (i Simpson), si ritirano silenziosi nelle proprie tende-tane-tombe, l'unico superstite (un Burt transgender con corpo di donna) rimane basito con gli occhi sgranati impassibili e fissi ad osservarci, pare urlarci un muto e lapidario mantra:
Voi guardate me che guardo voi.
voi guardate me che guardo,
guardate me, guardo voi,
guardo me che guardate voi,
guardami,
guardatemi!
"Questo è quello che siamo"
Quest'ultimo lavoro di Ricci/Forte è uno specchio in cui tutti, volenti o nolenti, veniamo riflessi; è, per usare una metafora, una scuderia di spermatozoi scalpitanti in corsa per fecondare menti in ovulazione.
All'interno della cornice in cui i quattro interpreti si donano con lucidità, generosità e strabiliante empatia, diretti con una tale precisione da aver spazio anche per improvvisare, chi guarda deve operare una scelta. Chi guarda è finalmente reso attivo. Inoltre cogliere, digerire e trattenere nella sua interezza la moltitudine di temi trattati è impossibile con un'unica visione. Questo è uno degli aspetti che rende estremamente interessante questa operazione. Perché, a differenza del mero intrattenimento 'per non pensare', lo scopo è stimolare, all'uscita del tempio sacro del teatro, ciò che troppo spesso ci si "scorda" di fare: interrogarsi e confrontarsi.
D.G.