regia: Luk Perceval
Salisburgo, Salzburger Festspielen luglio 2007
Tempo d'estate e tempo di scandali, è ormai una prassi comune dei festival più accreditati. Specie quando, tra luglio ed agosto, va in scena sua maestà il melodramma. Il fatto nuovo è che, stavolta, in un'arena consacrata al bello stile e alle languide carezze di pucciniana memoria come Salisburgo era di scena iersera un autore come Molière. In una sorta di celebrazione postuma che, per volere del regista Luk Perceval, riuniva nell'arco di una sola serata dell'eccezionale durata di sei ore una sintesi dei suoi capolavori: Tartufo e L'avaro più Il Misantropo e Don Giovanni. In una riscrittura a dir poco libera e spregiudicata dei signori Gunther Senkel e Ferdinand Zaimoglu che non prevedeva, come d'abitudine, che il reprobo alla fine delle sue malefatte precipitasse dal cielo della passione all'incubo eterno dell'inferno per effetto della terribile icona del Commendatore demandato da Dio Padre alla dannazione dello spergiuro.
Cos'è accaduto invece nella città che ha dato i natali al genio di Mozart? Come da noi ha fatto Latella quando ha messo in scena un poema di Testori e come a Edimburgo ha fatto l'enfant terrible del teatro iberico, Calixto Bieito quando, un anno fa, lasciando esterrefatto il pubblico, ha mostrato a vista il delirio onanistico di un frequentatore di peep show in Platform, il discusso spettacolo tratto da un famoso romanzo di Michel Houellebecq, il regista ha deciso che il suo Don Giovanni era posseduto in toto dal «vizio solitario» ironicamente cantato da Oscar Wilde. Anzi, che era a tal punto ossessionato dalle infinite possibilità della masturbazione da promuoverne l'uso e l'abuso fino alla consunzione. «In una nausea di sé che giunge in un anelito d'autodistruzione alla morte», come ha spiegato lo stesso regista a chi l'ha accusato d'oscenità in seguito alle reazioni negative del pubblico e ai sonori buu, anche se al termine dello spettacolo c'è stato anche chi si è spellato le mani ad applaudire. Ma c'è stato di più. Perché l'attore Thomas Thieme, protagonista dell'insolito avvenimento, mentre recitava dal palco i distici immortali di Molière, si è concessa la libertà di esternare al pubblico il proprio disgusto. Con un «il vostro amore mi fa schifo» particolarmente ingeneroso nei confronti di una platea che aveva sborsato ben centoventi euro a testa per assistere all'irriverente esibizionismo della più triste pratica sessuale. Cosa tutto questo c'entri con Jean-Baptiste Poquelin in arte Molière è domanda legittima, anche se ormai non ci stupiamo più di niente da quando, com'è accaduto a Londra, Sir John Falstaff nell'opera di Verdi è diventato un trans e, secondo altri registi tedeschi, la povera Minnie, casta ed illibata protagonista della Fanciulla del West di Giacomo Puccini, si dedica, in attesa dell'amore, a visionare film porno mentre fuori infuria la bufera.
Lontani i tempi in cui, per fare scandalo, si discuteva se Salomé nella danza dei sette veli indossava una maglia color carne a velare le sue appetitose nudità.
Enrico Groppali