di Francesco Niccolini
con Claudio Casadio
illustrazioni Andrea Bruno
QUIRINO CONTEMPORANEO
scenografie e animazioni Imaginarium Creative Studio
costumi Helga Williams
musiche originali Paolo Coletta
light design Michele Lavanga
suono Francesco Cavessi
collaborazione alla drammaturgia Claudio Casadio
voci di Cecilia D’Amico, Andrea Paolotti, Giuseppe Marini, Andrea Monno
Coproduzione Società per Attori e Accademia Perduta/Romagna Teatri in collaborazione con Lucca Comics & Games
Roma – Teatro Quirino Vittorio Gassman dal 5 al 7 maggio 2023
Mi ricordo di un’intervista nella quale Elémire Zolla diceva che uno scrittore, quando è davvero grande, finisce per ricreare un mito. Come dargli torto? È il pensiero che subito mi è balenato in mente assistendo a L’Oreste di Francesco Niccolini, andato in scena al Quirino con un bravissimo Claudio Casadio nei panni del protagonista.
Chi è l’Oreste di Niccolini? Un uomo che ha avuto un’infanzia difficile perché minata da eventi traumatici: la morte della sorella, successivamente quella del padre per mano della madre, l’abbandono in un orfanotrofio, l’esperienza in un riformatorio per poi finire – in seguito ad un oltraggio a un pubblico ufficiale – dentro un manicomio dove resterà rinchiuso per ben trent’anni. Fin da piccolo, Oreste ha mostrato di avere problemi psichici. E forse proprio per questo è stato rifiutato dalla madre e abbandonato. Una situazione difficile da accettare per chi la subisce.
E quale soluzione, allora, se non quella di crearsi un mondo parallelo nel quale rifugiarsi? È precisamente in questo mondo che facciamo la conoscenza del nostro Oreste. Un mondo popolato da personaggi immaginari – la sua fidanzata, la sorella defunta ed un’altra totalmente inventata; ed Ermes, suo compagno di stanza schizofrenico, convinto di essere un ufficiale aeronautico di un esercito straniero tenuto prigioniero in Italia.
Oreste trascorre le sue giornate disegnando e parlando con le persone che popolano il suo mondo. Come intuendo che l’unica maniera per sfuggire, almeno di scarto, ad una vita così crudele e spietata sia quella dell’immaginazione, della menzogna a fin di bene. Tutti sogni ad occhi aperti, perché Oreste non riesce a dormire, altrimenti i sogni del sonno più che pace gli creano inquietudine e fanno paura. Perché svelano quelle verità che, sconvolgenti per chi le ha vissute in prima persona, sono state fatte cadere in un angolo buio dove, benché nascoste, continuano ad agire nel silenzio.
In una scena scarna, che riproduce l’interno della stanza di un manicomio: con un letto, un tavolo, una sedia e un armadietto per metterci dentro pochi effetti personali, Casadio recita in un modo divino. Il suo Oreste è un uomo dolce, doppiamente consapevole: della sua pazzia, ma anche dell’impossibilità di poter essere quella persona sana che medici e infermieri vorrebbero fosse. Casadio interpreta il bellissimo testo di Niccolini – una variazione del mito di Oreste, una riscrittura al pari di Lei dunque capirà di Magris – offrendoci battute e parole come se sgorgassero direttamente dall’anima del personaggio. Ma ce le dà, benché piene di dolore, comunque colme di luce.
Ammirevole, al pari della vocalità e del ritmo recitativo, l’espressività soprattutto degli occhi di Casadio: innocenti come quelli di un bambino.
Perché questo Oreste è un bambino. E proprio per questo non appartiene al mondo degli uomini. Dal quale decide alla fine di fuggire via per sempre per andare finalmente sulla luna. Luogo dove Oreste troverà la sua tanto desiderata pace.
Pierluigi Pietricola