concezione Mourad Merzouki e Adrien M / Claire B
creazione digitale Adrien Mondot, Claire Bardainne
creazione musicale Armand Amar, Sarah Nemtanu, violino - Julien Carton, piano - Nuria Rovira Salat, voce;
musica addizionale, contralto Anne-Sophie Versnaeyen;
programmazione batterie "Les Plocks", Artback Society Stéphane Lavallée e Julien Delaune;
registrazione, mixaggio, creazione suono Vincent Joinville;
ricerca suoni Martin Fouilleul; assistente alla coreografia Marjorie Hannoteaux,
con Marc Brillant, Antonin Tonbee Cattaruzza, Elodie Chan, Aurélien Chareyron, Sabri Colin in arte Mucho, Yvener Guillaume, Amélie Jousseaume, Ludovic Lacroix, Ibrahima Mboup, Sofiane Tiet, Médésségnanvi Yetongnon in arte Swing;
luci Yoann Tivoli assistito da Nicolas Faucheux;
scenografia Benjamin Lebreton; costumi Pascale Robin assistita da Marie Grammatico;
pitture Camille Courier de Mèré, Benjamin Lebreton;
regia luci Stéphane Loirat; regia video Eve Liot; regia del suono Fabien Lauton; regia di palcoscenico Patrick Ligarius,
produzione CCN Compagnie Kafig
visto al Ponchielli di Cremona, 7 maggio 2016
Un'amica afferma a fine spettacolo: questa è vera integrazione, l'intreccio di etnie migliora la specie. In quest'ultima affermazione c'è tutto lo sguardo basito e desiderante nei confronti di danzatori prestanti e belli fisicamente. Tutto ciò per dire della seduzione prodotta dalla compagnia multietnica Kafig su un pubblico perlopiù femminile, incantato dai corpi che fanno hip hop e declinano la street dance nel contesto del physical theatre con suggestioni e abilità tersicoree non comuni. Perché iniziare a parlare di ciò riferendo di Pixel? Perché l'assenso e il consenso che realtà interessanti come la Compagnia Kafig si portano dietro sono legati più al contesto più che al testo. Esattamente come accade per le realtà teatrali come quella della Compagnia della Fortezza in cui i detenuti attori e il contesto della messinscena spesso hanno la meglio sul valore estetico dell'opera in sé. Detto questo, nel caso dei Kafig ci si trova al cospetto di professionisti della danza, di una realtà multietnica che ha fatto del suo essere mondo che danza un manifesto estetico e forse etico. Ma alla fin fine – a fronte di questo impegno di prassi politica/esistenziale – ciò che rischia di passere in secondo piano è lo specifico tersicoreo, è il testo, lo spettacolo, la voglia di promuovere una danza che dalle origini di strada approda nello spazio asettico e neutro ma anche sacro del teatro. E allora, accantonato il fascino terzomondista e multiculturale, la Compagnia Kafig in Pixel racconta di una danza che si impone come visual dance, come danza immateriale e in dialogo con le proiezioni virtuali. Pixel è uno spettacolo che si offre alla voracità del guardare, del farsi trasportar via, del farsi stupire non solo dell'atletismo e fisicità dei ballerini, ma anche della loro capacità di farsi segno grafico, scrittura scenica in dialogo con l'invenzione dello spazio virtuale. Immagini e corpi reali si confondono, vivono sul medesimo piano e alla fine sono difficilmente distinguibili. La realtà virtuale diventa realtà e basta ed anzi Pixel ci dice che la virtualità è insita nella realtà. Si ha l'impressione che anche la tridimensionalità dei corpi venga cancellata, la distanza è siderale, l'occhio si mangia tutto, la visione prende il sopravvento sugli altri sensi, ci si perde in Pixel e ciò che inquieta è che questo perdersi è un 'dolce naufragar'. E allora viene da pensare all'amica e alla sua passionale dichiarazione, allo sguardo femminile e all'attenzione alla fisicità meticcia dei danzatori: è forse questo l'unico modo di liberarsi dalla tirannia impalpabile del virtuale e riconquistare la fisicità di quei corpi che si muovono nello spazio, sudano e alla fine dello spettacolo si svelano nella loro forma reale chiedendo al teatro di ballare con loro e applaudire a tempo. La realtà ha preso il sopravvento sulla visione, sull'immagine che stupisce, sui fantasmi del virtuale... e menomale.
Nicola Arrigoni