di Ariel Dorfman
traduzione di Alessandra Serra
regia di Carmelo Rifici
con Laura Marinoni e Danilo Nigrelli
scene e costumi Annelisa Zaccheria, musiche Zeno Gabaglio
soprano Sandra Ranisavljevic
disegno luci Matteo Crespi, video Roberto Mucchiut,
assistente alla regia Vittorio Borsari, in video Edoardo Chiodi e Michelangelo Colella
produzione LuganoInScena, in collaborazione con LAC Lugano Arte e Cultura e Emilia Romagna Teatro Fondazione
al teatro Storchi, Modena, 17 novembre 2016
Il fascino è dato dalla situazione di sospensione che chiama a sé il termine Purgatorio, una sospensione in cui colpe e torti vengono a galla, forse vengono espiati, o laicamente riconsiderati per approdare a un perdono possibile. Se poi questo contesto si innesta sulla vicenda di Medea, la regina della Colchide, l'interesse cresce per la sfida che il riferimento tragico porta con sé e per il cortocircuito che potrebbe creare con il contesto purgatoriale che in ambito laico finisce inevitabilmente col confinare con la psicoanalisi, il rimosso e un'impossibile terapia di coppia, verrebbe da dire se la coppia non fosse quella di Medea e Giasone. Dal punto di vista teatrale la firma di Carmelo Rifici e la presenza di due attori di razza come Laura Marinoni e Danilo Nigrelli rendono più che plausibile l'interesse per Purgatorio. I limiti – paradossalmente - stanno nella dichiarata condizione purgartoriale per cui le coordinate spaziali e di senso sono date, spetta allora al testo e soprattutto a regia e attori rendere interessante e spiazzante quanto accade in scena, quanto dicono e raccontano i personaggi 'costretti' a muoversi in una vicenda perlopiù conosciuta. In questa situazione data si perde l'allestimento di Carmelo Rifici.
Il contesto scenico inventato da Annelise Zaccheria si compone di una sorta di stanza disadorna con tappezzeria optical anni Settanta, stanza che dà su un altrove con tre aperture. La porta dà sul fondo, un'altra apertura immette sulla parte della scena dove c'è un letto: una sorta di luogo del rimosso e dell'onirico. Il terzo varco è quello da cui noi osserviamo. Un video mostra i bimbi, vittime di Medea. In questo spazio che si vorrebbe simbolico ed evocativo si muovono le figure di Medea e Giasone, impegnate a confessare e prendere in esame loro stesse e la loro relazione, poste con le spalle al muro da una figura altra che assomiglia a una sorta di psicoanalista. All'inizio è Medea a raccontarsi e a confessare l'inconfessabile, poi tocca a Giasone e in fine al confronto fra i due: Medea e Giasone in cerca di una impossibile riconciliazione o perdono. Ed è su questo che si confrontano i due personaggi di Purgatorio, in cui il mito della regina della Colchide diviene mito borghese, chiama in causa l'amore, il tradimento, la vendetta che porterà Medea ad ammazzare i figli avuti da Giasone. Viene da pensare che la stasi in Purgatorio, l'impossibilità del perdono siano la condanna oltremondana che si concretizza nel permanere in uno spazio deserto e asettico.
Alla prova del palcoscenico tutto ciò appare ingarbugliato, di facciata, francamente brutto. Si ha l'impressione che in più punti gli attori non sappiano come muoversi, dove mettere le mani, come occupare lo spazio bipartito, ma alla fine omogeneo nella sua banalità. C'è nell'allestimento una bruttezza di senso che infastidisce, ci sono gratuità come il video che incombe più per una moda che per una reale necessità drammaturgica; nel migliore dei casi rischia di essere pleonastico. Lo stesso impianto scenico sembra avere troppe e troppo superficiali parentele con quanto Antonio Latella fece nella messinscena di Un tram che si chiama desiderio, non è un caso che le scene erano firmate sempre da Annelisa Zaccheria. Laura Marinoni – passionale e viscerale per sua indole – e Danilo Nigrelli cercano di fare il possibile, dicono i personaggi, li raccontano con tutto il trasporto del recitare con maniera, ma nel loro stare in scena non c'è presenza, piuttosto disorientamento. Carmelo Rifici non riesce a muovere quanto Medea e Giasone nostri improbabili contemporanei dicono in quello spazio sospeso che è il Purgatorio, un non luogo improbabile e infrequentabile se «la persona che possiede la mia salvezza è la persona che io ho ferito di più al mondo», per usare parole di Ariel Dorfman. Peccato, peccato... per uno spettacolo che prometteva molto e alla fine delude.
Nicola Arrigoni