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PASSEGGIATA (LA)

"La passeggiata". Foto Paolo Lauri "La passeggiata". Foto Paolo Lauri

Dall’omonimo racconto di Robert Walser
Laboratorio dei Chille diretto da Claudio Ascoli e Sissi Abbondanza
Con: Salomè Baldion, Andrea Banchetti, Fausto Barlocco, Pietro Barnini, Alessio Biblioteca, Simona Cardia, Paolo Cinanni, Laura Donati, Cristina Giaquinta, Silvia Licciardo, Matilda Mancuso, Antonio Nicassio, Stefania Paracolli, Rosario Terrone
Luci di Teresa Palminiello | Suoni di Francesco Lascialfari | Foto di Paolo Lauri
Produzione: Chille de la Balanza
San Salvi, Firenze, 19 giugno 2022

www.Sipario.it, 24 giugno 2022

Non tutte le esperienze di teatro in cammino riescono a perforare il ritratto che le cose ci danno di sé quando non riusciamo a guardarle da una diversa prospettiva. Ecco allora che quando questo accade bisogna parlarne. Un caso recente, di delicata poesia, è quello de “La passeggiata” dei Chille de la Balanza. Assumendo il titolo e buona parte dell’opera omonima di Robert Walser, lo spettacolo affronta un testo non facile da rendere teatralmente. Proprio perché è un flusso di scrittura che segue il decorso di una passeggiata, ed è narrato in prima persona, si sarebbe tentati di tagliarlo su misura addosso a un attore-narratore. I Chille invece intraprendono un’operazione coraggiosa, con un’intuizione che rovescia la premessa. Se il narratore è solitamente identificato con l’attore, loro propongono di identificarlo con lo spettatore. Se Robert Walser è colui che narra, ogni spettatore diventerà un Robert Walser che cammina e vede accadergli davanti (a volte entrandoci come protagonista diretto) le varie scene del racconto.
Così agli spettatori accolti nell’ampio parco di San Salvi a Firenze, storica sede della compagnia, viene per prima cosa distribuito un cappello e un ombrello, mentre una voce registrata (Claudio Ascoli) attacca l’incipit del racconto: “(…) mi misi il cappello (…) e discesi in fretta le scale, diretto in strada”. Si formano due gruppi di Walser – omini magrittiani designati nella pittura serale di un tramonto fiorentino caldissimo – e due sono anche i gruppi di attori che guidano gli spettatori. Coesistono così ben due spettacoli (con inizio e fine comuni), l’uno rimanendo ignoto al gruppo che si muove nell’altro. L’idea è che poi la ricostruzione integrale possa compiersi nel racconto fra partecipanti, nel privato di un dopoteatro. In questo modo la ricchezza ermeneutica dell’opera si moltiplica, fino a comprendere non solo interpretazioni differenti di fatti, ma differenti fatti che concorrono a completare il cerchio dell’esperienza. Tuttavia il fascino non risiede interamente nel dispositivo – del resto le ricerche degli anni ’60 e ’70 hanno ampiamente esplorato analoghe modalità. Intanto molto dello spettacolo crea le proprie connessioni interne ad opera della soggettività dinamizzata dello spettatore. E’ lui che riempie i vuoti, chiamato al lavorìo di senso che gli incontri sulla via producono. Così dopo un preludio che introduce il tema della neve (Walser nella neve fu trovato morto), come un momento di sospensione del gioco e del giogo degli accadimenti, in cui vediamo balenare il tema dell’oltre, dell’anima, ecco gli incontri di cui Walser dà conto: un libraio brusco, un funzionario blandamente recriminatorio, un sarto aggressivo, una donna melliflua e seduttiva, una pallida giovinetta danzante, un ragionatore dal piglio accusatorio: di volta in volta i 25 Walser vengono compresi, chiusi, nella gabbia di parole del personaggio di turno; è la sottile violenza di sentirsi inquadrati, letti e giudicati nella propria inermità di individui investiti di una vita che non hanno chiesto. Così questo vagare nella notte in un parco intricato di ombre, rifessi, scorci inusitati, si traduce via via in un certo sentimento, tragico, della vita, nella quale siamo gettati e della quale fatichiamo a capire le pressanti richieste, le accusatorie allusioni, le lusinghe di una felicità impossibile a realizzarsi.
Quando poi i due gruppi si incontrano in uno spiazzo adibito a trattoria, ai cui tavoli accuratamente apparecchiati si viene fatti accomodare, e si crede nella finale risoluzione, ecco che si viene di nuovo respinti, ma questa volta è l’annuncio della neve, come all’inizio sulle note di Mahler, che giunge a sopire, medicare e consolare, a riconciliarci.

Franco Acquaviva

Ultima modifica il Sabato, 25 Giugno 2022 06:52

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