Quattro quadri sull’identità e sul coraggio
adattamento dell’opera Ruy Blas di Victor Hugo
con Yuri D’Agostino, Francesco Gargiulo, Barbara Mazzi, Alba Maria Porto, Rebecca Rossetti, Angelo Tronca
regia, traduzione e riscrittura Marco Lorenzi
visual concept Eleonora Diana
consulenza per la scherma Daniele Catalli
uno spettacolo di Il Mulino di Amleto
con il contributo di SIAE Sillumina-Copia privata per i giovani, per la cultura
con il supporto dell’Alliance Française di Torino
TEATRO GOBETTI, nell’ambito di SUMMER PLAYS, Teatro Stabile di Torino 9 luglio 2022
Quando il testo è un pretesto, che si tratti del Misantropo di Molière, degl’Innamorati di Carlo Goldoni o di Ruy Blas di Victor Hugo, ciò che emerge sopra ogni cosa è la ricerca e progressiva definizione di un linguaggio originale, di uno stile proprio, da parte della compagnia Il Mulino di Amleto e di Marco Lorenzi, regista degli spettacoli. Centralità dell’attore, impiego diversificato della voce (naturale e amplificata), varietà di registri (quotidiano, comico, drammatico), nessuna finzione nell’uso del corpo (gli schiaffi che don Sallustio elargisce al suo servo sono veri, così come lo erano i baci del Misantropo a Celimene, e il nudo imposto a Ruy Blas, arresosi totalmente al suo padrone, è nudo integrale che, lontano dallo scandalizzare, suscita rabbia e compassione). Vi sono poi altre costanti che si possono cogliere nel percorso intrapreso da Il Mulino di Amleto: la tendenza a definire lo spazio scenico in uno forma geometrica precisa svuotata di ogni inutile orpello (una sorta di ring per Gl’Innamorati e un rettangolo simile a un tappeto in Ruy Blas), con due file di sedie disposte sui lati del palco, così da moltiplicare lo sguardo sulla scena almeno da tre punti di vista, se si aggiunge quello del pubblico in platea; il bisogno di abbattere la quarta parete per interloquire realmente con il pubblico fino a coinvolgerlo direttamente nell’azione scenica; la scelta di brani musicali raffinati e contemporanei, spesso dal forte impatto emotivo, come Into my arms di Nick Cave per il finale. In Ruy Blas vi è poi l’utilizzo di immagini elaborate e proiettate su un piano rettangolare verticale di fondo: i volti mossi e fluidi dei protagonisti, immersi nell’acqua (quasi a volerne sottolineare la precarietà o la sostanziale inafferrabilità), nel loro lento succedersi, introducono i quattro quadri di cui si compone lo spettacolo.
La trama: un servo, Ruy Blas, viene costretto dal suo perfido e corrotto padrone, don Sallustio, condannato all’esilio, a indossare i panni di un altro nobile, don Cesare, per introdurlo a corte e ordire la sua vendetta contro la Regina di Spagna. Il servo, ignaro degli intenti del suo padrone, accetta perché in questo modo gli sarà consentito avvicinarsi alla Regina di cui è segretamente innamorato. Con il tempo, Ruy Blas ha modo di palesare le sue qualità e i suoi valori, oltre a vivere un amore altrimenti impossibile, fino a quando don Sallustio non fa ritorno, lo smaschera e, nel corso di un duello, entrambi trovano la morte.
Del melodramma ottocentesco di Victor Hugo, rappresentato per la prima volta nel 1838, cosa resta nella versione di Lorenzi? La riflessione su un mondo in disfacimento, logorato dalla corruzione e da rapporti fondati sull’inganno, la storia di un amore impossibile, il vano tentativo da parte di pochi di far valere la lealtà e la fedeltà ai propri valori, a cui si aggiunge “una raffinata indagine sul senso dell’identità: chi sono io, sono il mio nome? Sono il mio ruolo sociale? Sono le mie azioni? Sono tutto questo contemporaneamente?” (dalle note di regia). Temi, a ben guardare, non così distanti da quelli affrontati nelle precedenti creazioni della compagnia, che dimostra in questo modo onestà e coerenza nella sua profonda e coraggiosa ricerca di un confronto con i classici, per farli visceralmente propri. Rispetto agli spettacoli precedenti, in Ruy Blas ho colto un rischio maggiore di frammentarietà, di cui tuttavia il pubblico non sembra aver patito, se si considerano i lunghi e calorosi applausi. Un apprezzamento particolare a Barbara Mazzi, per la sua interpretazione della Regina, e a tutta la compagnia, per la compattezza e la generosità nell’intendere l’atto teatrale.
Francesca Maria Rizzotti