di William Shakespeare
traduzione e adattamento: Michele Placido e Marica Gungui
regia: Michele Placido e Francesco Manetti
con
Re Lear: Michele Placido
Conte di Gloucester: Gigi Angelillo * alla 1ª a Milano Peppe Bisogno
Edgar: Francesco Bonomo
Cordelia: Federica Vincenti
Kent: Francesco Biscione
Edmund: Giulio Forges Davanzati
Conte di Albany: Peppe Bisogno * alla 1ª a Milano Bernardo Bruno
Il Matto: Brenno Placido
Duca di Cornovaglia: Alessandro Parise
Gonerill: Marta Nuti
Regan: Maria Chiara Augenti
scene: Carmelo Giammello
musiche originali: Luca D'Alberto
costumi: Daniele Gelsi
light designer: Giuseppe Filipponio
produzione: Goldenart Production in collaborazione con Ghione Produzione e con Estate Teatrale Veronese
Milano, Piccolo Teatro Strehler dal 24 febbraio all'8 marzo 2015
L'interpretazione e la regia di Michele Placido del Re Lear - tragedia scritta nel 1605 da William Shakespeare (Stratford-upon-Avon, 1564 – 1616) che attinge nella mitologia britannica e presenta una trama a doppio intreccio in cui il secondo esalta l'azione principale - non possono non suscitare ammirazione, dubbi e interrogativi per la varietà dei cambiamenti apportati e per l'arditezza di alcune scelte che vogliono evidenziare l'attuale crisi identitaria dell'uomo e della società.
Non si può non rimanere subito impressionati dalla scenografia aperta, intessuta di rovine di un passato e un presente, in cui campeggia una mega corona con uomini di potere dell'oggi, fragili 're' di un mondo che si sta sfacendo, un incipit metaforico in cui s'insinuano tutti insieme gli attori e si cambiano preparandosi allo spettacolo e indossando costumi contemporanei sui quali corazze, mantelli... rappresentano i segni dell'antico potere.
Un potere che non sa distinguere la sincerità dall'adulazione, il fiume vuoto di parole dalla riservata stringatezza di un vero sentimento parco di falsa ostentazione, ma capace di agire con amore a differenza di chi si affanna per il potere: un mondo in cui trionfa la forma contro la sostanza di pochi.
Padri incapaci di essere veri padri, promessi sposi pronti a tradire impegni presi nel timore di vedere diminuire i propri privilegi, figli ancorché umiliati di continuo e vessati psicologicamente e affettivamente che si vendicano tradendo per il gusto di distruggere con calcolo ed efferata crudeltà tutti coloro che ostacolano la spericolata, disperata e folle corsa al potere, onesti schiacciati e ridotti a mendicare: novelli martiri e paradossalmente primi nella scala sociale che li vede ultimi e diseredati, fidi consiglieri che si dimostrano sodali malgrado i torti subiti, re che vogliono 'andare in pensione' senza sapere identificare la correttezza della successione... un mondo vario e sfaccettato che è quello di sempre nei tristi corsi e ricorsi secolari di un'umanità affannata e dolente che aspira in modi diversi a mutare...
Ha ragione, dunque, Michele Placido a raccontare l'odierno superamento del limite perché è la verità in cui siamo immersi, ma forse c'è da chiedersi che senso abbia indulgere nel rappresentare la violenza, incupire gli animi già angosciati quotidianamente da prepotenze e soprusi presentati come pane quotidiano dai vari mass media... Che effetto può fare lo zampillare del sangue dagli occhi strappati a chi lo vede scorrere con indifferenza quotidiana quasi spettatore nelle arene romane? Forse la crudeltà si può rendere anche meglio con atteggiamenti che sanno distruggere un uomo senza toccarlo.
Quello che turba la sacralità della tragedia shakespeariana sono i costumi punk indossati dai personaggi più crudelmente aridi: propri di gruppi che celano un forte senso d'inferiorità facendo ricorso anche a una violenza esteriore, tali abiti costituiscono oggi simbolo della paura di essere ignorati e schiacciati.
Gli attori mostrano affiatamento e valide qualità interpretative, tra costoro eccelle Francesco Bonomo capace di mantenere il giusto equilibrio senza eccedere né durante i fasti né i terribili nefasti della sua giovane vita quasi che la cultura costituisca l'ago della bilancia di un'esistenza dignitosa e retta.
Wanda Castelnuovo