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BOTTEGA DEL CAFFÉ (LA) – regia Paolo Valerio

Michele Placido in "La Bottega del caffé", regia Paolo Valerio. Foto Simone Di Luca Michele Placido in "La Bottega del caffé", regia Paolo Valerio. Foto Simone Di Luca

di Carlo Goldoni
regia di Paolo Valerio
con Michele Placido
e
con (in o. a.) Luca Altavilla, Emanuele Fortunati, Ester Galazzi, Anna Gargano,
Armando Granato, Vito Lopriore, Francesco Migliaccio, Michelangelo Placido, Maria Grazia Plos

scene Marta Crisolini Malatesta
costumi di Stefano Nicolao
musiche Antonio Di Pofi

movimenti di scena Monica Codena
luci di Gigi Saccomandi

foto di scena di Simone Di Luca
coproduzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Goldenart Production, Fondazione Teatro della Toscana
Trieste, Politeama Rossetti, 15 ottobre 2021

www.Sipario.it, 18 ottobre 2021

Insinuarsi nelle vite degli altri, studiarne le azioni per poi infangarne la reputazione con menzogne e illazioni… è l’attività preferita di don Marzio, definito “la tromba della comunità”, “una gran lingua cattiva”, “un indegno impostore”. Personaggio cardine della goldoniana “Bottega del caffè”, è stato il cavallo di battaglia di grandi attori come Salvo Randone, Tino Buazzelli e in questa stagione anche di Michele Placido. Definito nei Memoires “un chiacchierone maldicente, molto originale e comico, uno di quei flagelli dell’umanità che preoccupa tutti quanti” rappresenta una sfida per l’interprete che deve saper emergere in scena con le sue meschinità, senza incrinare quella dimensione umana corale, molto amara, di cui la commedia è portavoce.
Nella regia di Paolo Valerio (che cura l’edizione prodotta da Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Goldenart e Fondazione Teatro della Toscana) l’osservazione analitica che Goldoni offre al microcosmo che anima la bottega di Ridolfo rivela subito il suo potente valore universale e invita alla riflessione sulle miserie della condizione umana. La messinscena asseconda quindi la forza verbale che emerge da questo stupendo testo drammaturgico, ne potenzia le battute con ritmo ed equilibrio, enfatizzando la coralità d’insieme che i diversi personaggi sono chiamati a costruire.
L’architettura è quella scarna di un campiello, su cui si affacciano un caffè, un barbiere, una bisca clandestina e l’abitazione di una misteriosa ballerina, ambienti tutti “aperti” nel loro interno (scenografia di Marta Crisolini Malatesta). I colori hanno una patina malinconica, le luci (di Gigi Saccomandi) danno pennellate crepuscolari alle giornate scandite da rapporti minati da inganni, smanie da gioco, tradimenti e chiacchere malevoli. Seduto al solito tavolino, un nobile napoletano, subdolo e sfaccendato, tesse ad arte i pettegolezzi che aleggiano nella bottega aperta da poco da Ridolfo (Francesco Migliaccio) perché “ora è di moda il caffè!”: la casa da gioco dell’astuto Pandolfo (Vito Lopriore) attira il giovane mercante Eugenio (Emanuele Fortunati), pronto ad indebitarsi e a dimenticare la moglie Vittoria (Ester Galazzi) per abbandonarsi al piacere delle carte. Suo compagno di sfide è il sedicente conte Leandro (Michelangelo Placido) che corteggia la ballerina Lisaura (Anna Gargano), all’insaputa di Placida (Maria Grazia Plos) che ha sposato a Torino e che adesso è arrivata a Venezia da “pellegrina” a cercarlo… vicende ingarbugliate, travisate, esagerate e palesate “dalla lingua che conduce al precipizio” di don Marzio. Alla fine anche lui è travolto dall’infamia che ha continuato ad alimentare a danno altrui, perde il suo credito e non lo conquisterà mai più. Il suo interesse per il prossimo è finto, truccato come il mazzo di carte che lascia cadere nel finale, nasconde malvagità e una visione alterata della realtà.

Elena Pousché

Ultima modifica il Martedì, 19 Ottobre 2021 05:38

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