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STRANIERO (LO) - regia Roberta Lena

Fabrizio Gifuni Fabrizio Gifuni

un'intervista impossibile
reading tratto da L'Etranger di Albert Camus
ideazione e regia Roberta Lena
Con Fabrizio Gifuni
suoni G.U.P. Alcaro
costumi Roberta Vacchetta
produzione Circolo dei lettori di Torino
Milano, Teatro Parenti, dal 24 al 27 maggio 2016

www.Sipario.it, 27 maggio 2016

Lo straniero così vicino a noi

Le valige accatastate sul palcoscenico ci comunicano, metaforicamente, l'inizio del viaggio che Fabrizio Gifuni intraprende attraverso la lettura de "Lo straniero", romanzo esistenzialista scritto da Albert Camus e pubblicato nel 1942.
L'opera tratta le vicende umane di Meursault, uomo di origine francese che vive ad Algeri, lungo tre principali centri narrativi. Si inizia con la morte della madre del protagonista, ospite di un ospizio fuori città, verso cui Meursault non sembra provare alcuna emozione e di cui rifiuta di vedere le spoglie, preferendo bere un caffè e fumare vicino alla bara. Si prosegue poi con la relazione tra Meursault e Maria, una sua ex collega di ufficio che non suscita nell'uomo alcun sentimento di amore al di là del piacere fisico. Infine, l'omicidio. Meursault uccide un arabo sulla spiaggia, fatto che gli costerà un lungo processo e, nel finale, la condanna a morte, non prima di aver rifiutato il conforto del prete.
Scegliere di portare in scena "Lo straniero" è già un atto coraggioso che incuriosisce e stimola un apprezzamento a priori. Prima di tutto, perché si tratta di un romanzo e non di un testo teatrale. Poi, perché i suoi importanti contenuti hanno tracciato indelebilmente un segno nella filosofia e nel pensiero occidentale contemporaneo e non solo. Gifuni, con una presenza scenica indiscutibile, si cala in questa nuova impresa, impossessandosi pienamente delle parole del protagonista e degli altri personaggi, entrando nelle loro carni, facendoli definitivamente suoi. E lo fa, utilizzando la voce, le sue diverse tonalità e i suoi innumerevoli colori ma anche il corpo che, nella stessa posizione lungo tutto lo spettacolo, sa trasmettere emozioni e sensazioni. E soprattutto immagini, prendendo per mano lo spettatore e portandolo per le vie di Algeri, sotto il sole, e facendoci vedere il mare. I suoni, le musiche (ricordiamo "Killing an arab" dei Cure e "The stranger" dei Tuxedomoon) e una regia semplice e intelligente che legittimamente lascia spazio alle abilità attoriali dell'interprete, avvalorano il risultato finale dello spettacolo.
L'attore trasmette al pubblico il filo rosso che lega le diverse tematiche e i suoi significati nelle pagine scritte da Camus: l'indifferenza, il senso di distacco dal mondo, il nichilismo, la mancanza di senso e di un'ultima speranza tra gli uomini. Gifuni dà umanità a tutti i personaggi restituendo un barlume di dignità alle loro fragilità. Lui e l'autore dell'opera si incontrano, abbracciandosi, nell'interpretazione di Meursault, nel suo percorso a senso unico verso il baratro dell'esistenza: la morte. Quella morte che mette a tacere ogni nostra ricerca di senso e che, tuttavia, avvicinandosi a noi ce lo fa trovare. Come quando Meursault, avviandosi a passo lento verso la decapitazione, scopre di essere stato felice in vita e chiede, almeno in quel momento, la partecipazione e il riconoscimento della gente. Noi, come pubblico, possiamo dire di esserci stati e di averlo fatto, applaudendo nel finale, per dieci minuti senza mai fermarci, uno spettacolo da vedere.

Andrea Pietrantoni

Ultima modifica il Venerdì, 27 Maggio 2016 23:09

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